Il primo strumento conosciuto per registrare un terremoto è un sismoscopio cinese del 132 d.C. Attraverso un pendolo e alcune levette posti all’interno di un anfora, esso era in grado di rilevare una scossa sismica e lanciare una specie di allarme.
Per parlare di vera e propria misurazione dei terremoti però, bisogna arrivare al sismografo, diffuso nel secolo scorso. Questo strumento, usato per rilevare le onde sismiche, permette di misurare numerosi parametri. Uno dei tipi più usati è costituito da una massa sospesa, dotata di un pennino libero di oscillare come un pendolo, che lascia una traccia su un rullo di carta ancorato a una massa solidale con il suolo. Il rullo è sensibile alle vibrazioni prodotte dal terremoto, mentre il pennino tende a rimanere fermo per inerzia. In assenza di terremoto la traccia è praticamente rettilinea, mentre, in presenza di scosse sismiche, si forma una traccia a zig-zag, il sismogramma, che permette di risalire al momento iniziale del sisma, di misurarne la durata e di localizzare la posizione dell’epicentro e dell’ipocentro.
Oggi i sismometri sono strumenti elettronici costruiti in modo più sofisticato. Sono composti da un sensore, detto geofono, e da un acquisitore, uno strumento elettronico collegato a un computer. Si tratta di apparecchi più sensibili, più efficaci e meno delicati di quelli descritti in precedenza. Esistono strumenti ancora più moderni, chiamati accelerometri, che permettono di misurare con elevata precisione i movimenti del suolo vicino all’epicentro, dove sono più marcati.
Per misurare l’energia dei terremoti e descriverne le caratteristiche è necessario interpretare i dati di numerose stazioni sismiche. In Italia esistono centinaia di punti d’osservazione che costituiscono una fitta rete distribuita su tutto il territorio nazionale.