In Italia i vulcani attivi sono il Vesuvio e la zona dei Campi Flegrei, in Campania, l’Etna e le isole Eolie (in particolare Vulcano e Stromboli), al largo della Sicilia.
- Etna e Stromboli hanno attività frequente e piuttosto prevedibile, per cui non destano reale preoccupazione, sebbene le loro eruzioni possano essere talvolta distruttive, tuttavia i gas emanati dall’Etna non sono nocivi. Anche l’evento franoso verificatosi sul vulcano Stromboli nel dicembre 2002, che ha provocato un’onda di maremoto, è da considerarsi, a detta degli esperti, molto raro.
- Vulcano e Vesuvio, invece, sono vulcani profondamente diversi: vengono infatti considerati vulcani quiescenti, cioè con attività eruttiva poco frequente, intervallata da lunghi periodi di inattività. Si deve porre molta attenzione a questo tipo di vulcani, perché possono sembrare vulcani estinti, cioè totalmente inattivi, mentre potrebbero risvegliarsi improvvisamente e riprendere l’attività eruttiva. La pericolosità di Vulcano e del Vesuvio è inoltre aumentata dall’attività eruttiva prevalente, che è di tipo esplosivo e accompagnata dall’emissione di grandi quantità di materiali piroclastici e di nubi ardenti. Altri vulcani quiescenti in Italia si trovano presso i Campi Flegrei, dove l’ultima eruzione è stata registrata durante il XVI secolo, e a Ischia, dove il vulcano ha eruttato l’ultima volta agli inizi del XIV secolo.
Fino ad ora abbiamo parlato dei vulcani più conosciuti e importanti, però in Italia non ci sono solo questi vulcani. Il Monte Pelato (“Bald Mountain” o “Montagna Calva”) di Lipari, è un vulcano famoso nell’antichità per la sua lava riolitica, acidissima e ricca di silice al punto da formare un’ossidiana di ottima qualità ampiamente utilizzata dalle popolazioni della zona ai tempi del Neolitico. Fino a epoca molto recente (e forse ancora oggi), poi, la pomice di Lipari ha trovato utilizzi vari in campo industriale.
Il vulcano di Lipari era ancora attivissimo in epoca alto-medievale. Gregorio Magno (morto nel 604) arrivò a dire. “Coloro che non credono che esista l’Inferno, vadano a Lipari, e lì avranno la prova della sua esistenza”. E nell’VIII secolo San Villibald, in viaggio dal nord-Europa alla Terrasanta, deviò dal suo itinerario per recarsi a Lipari a vedere “l’Inferno”. Le cronache dicono che cercò di avvicinarsi al cratere, ma non ci riuscì per l’enorme quantità di materiale incandescente che il vulcano eruttava. Quella fu l’ultima eruzione, ma il vulcano di Lipari potrebbe ben risvegliarsi in qualunque momento.
Non dobbiamo poi dimenticare i vulcani sottomarini, come il Monte Marsili, alto più di 3000 metri, ma che si trova a 500 m sotto la superficie del mare in un tratto compreso fra le Eolie e la Campania. Una sua eventuale esplosione potrebbe essere catastrofica, visto che potrebbe facilmente generare onde di maremoto.
Anche l’isola Ferdinadea è da ritenersi importante. Questo più che un isola è un vulcano sommerso che eruttando, nel 1831, si innalzò dall’acqua formando l’isola nel canale della Sicilia. Tuttavia a causa della sua composizione (tefrite, materiale facilmente erodibile dalle onde) l’isola scomparve definitivamente nel 1832. Una sua eruzione potrebbe solo far riemergere l’isola temporaneamente, quindi il vulcano non è da ritenersi pericoloso.
Un altro fenomeno legato ai vulcani, ma generalmente non molto pericoloso, è il bradisismo, che consiste in periodici sollevamenti o abbassamenti del terreno, causati dalla presenza di accumuli di magma abbastanza vicini alla superficie terrestre. L’area di Pozzuoli, vicino a Napoli, ne è un tipico esempio: nel corso dei secoli essa ha attraversato fasi successive di sommersione ed emersione dalle acque marine. Sulle colonne del tempio romano di Serapide si trovano, infatti, le tracce di fori scavati dai litodomi, molluschi marini che vivono nelle rocce, a testimonianza di un antico periodo di sommersione.