Che relazione esiste tra le forze applicate a un corpo e il suo stato di moto? L’esperienza ci induce a pensare che, per mantenere un corpo in moto a velocità costante, sia necessario applicargli continuamente una forza; infatti, quando si smette di spingere sui pedali, la bicicletta si ferma. Poiché questo fatto accade per quasi tutti i tipi di moto, si ha l’impressione che per mantenere un corpo in moto a velocità constante sia necessaria una forza costante.
Questo è ciò che si è pensato sul moto da Aristotele (384-322 a.C.) fino al 1500, ma è un’interpretazione che lascia in sospeso molte domande: per esempio, perché, per portare un veicolo fermo a una data velocità è necessario applicargli una forza più intensa di quella che serve a mantenerlo in moto a quella velocità? Oppure perché, una volta spento il motore, esso mantiene per un po’ il proprio moto senza che nessuna forza lo spinga?
Il fatto è che noi siamo portati ad analizzare il moto come se fosse dovuto solo alle forze motrici, prodotte dal motore di un veicolo o dalle gambe del ciclista, e non consideriamo la presenza costante degli attriti che a esse si oppongono.
Sono gli attriti che fanno perdere velocità al veicolo una volta che è stato spento il motore; più riusciamo a ridurli, più a lungo si mantiene il movimento.
L’attrito, per la sua stessa natura di forza di adesione tra le molecole delle superfici a contatto, non può mai essere eliminato del tutto; però, è possibile ridurlo notevolmente, ed è relativamente facile verificare in laboratorio che un corpo, lanciato a una data velocità, e poi lasciato andare, tende a mantenere questa velocità tanto più a lungo quanto minore è l’attrito presente.
Nella nostra conoscenza non mancano esempi di moti praticamente privi di attrito; tutti abbiamo in mente l’immagine degli oggetti che fluttuano in una navicella spaziale in condizioni di assenza di peso e che, sospinti leggermente, si mettono in moto a velocità costante.
La presenza di forze che si fanno equilibrio è la condizione più comune che caratterizza il moto uniforme; per esempio ciò che permette a un veicolo di muoversi a velocità costante è il fatto che la forza generata dal motore fa esattamente equilibrio alla forza di attrito, annullandone l’effetto frenante.
La cosa importante non è, quindi, la presenza o meno dell’attrito, ma la risultante (la somma vettoriale) delle forze applicate; la condizione per cui un corpo si muova a velocità costante e in linea retta è che su di esso non agiscano forze, o che agiscano forze la cui risultante è nulla; questo è il principio di inerzia, solitamente enunciato nel modo seguente:
un corpo, a cui non sono applicate forze, o sono applicate forze che danno una risultante nulla, mantiene inalterato il proprio stato di moto; se è in quiete vi rimane, e se è in moto continua a muoversi con la stessa velocità, nella stessa direzione e nello stesso verso.
Il principio di inerzia, che era già stato intuito da Leonardo Da Vinci (1452-1519), venne formulato in modo esemplare nel 1638 dallo scienziato pisano Galileo Galilei, il fondatore della scienza moderna, nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, un’opera fondamentale che rappresentò la rottura definitiva con la concezione aristotelica del moto e segno l’affermazione del metodo sperimentale e l’inizio della moderna conoscenza scientifica.