La fissione nucleare è una reazione nucleare in cui il nucleo di un elemento pesante – ad esempio uranio-235 o plutonio 239 – decade in frammenti di minori dimensioni, ovvero in nuclei di atomi a numero atomico inferiore, con emissione di una grande quantità di energia e radioattività. La fissione può avvenire spontaneamente in natura (fissione spontanea) oppure essere indotta tramite bombardamento di neutroni.
La reazione nucleare comunemente utilizzata nei reattori nucleari (Vedi “Come funziona e com’è strutturata una centrale termonucleare“) e nei tipi più semplici di bombe atomiche, quali le bombe all’uranio (Quella che colpì Hiroshima) o al plutonio (come quella che colpì Nagasaki).
Il processo di fissione produce dei frammenti di fissione con un numero elevato di neutroni; tali isotopi per diventare stabili devono decadere più volte. Il tempo di decadimento di tali elementi dipende dal tipo di nucleo prodotto e può variare da pochi millisecondi fino a decine di anni. Inoltre le reazioni di fissione dell’ U235 avvengono nei reattori nucleari avvengono in presenza di un gran numero di nuclei di U238, questi assorbono parte dei neutroni prodotti trasformandosi in U239 il quale in tempi rapidi decade due volte diventando plutonio 239 il quale ha un tempo di decadimento molto più lungo (si dimezza in 24000 anni). Per cui le reazioni di fissione producono molte sostanze radioattive estremamente nocive, ma mentre le altre scorie che provengono dai prodotti da fissione decadono in poche decadi, il plutonio resta radioattivo per milioni di anni, senza possibilità di smaltimento.
Durante tutto il tempo di decadimento gli isotopi producono radiazioni beta, dannose per qualunque organismo vivente.
Le scorie radioattive prodotte dai reattori nucleari vengono chiamate anche scorie di III categoria.
I prodotti contaminati o rifiuti radiologici da ambito nucleare, industriale e radioterapico, come le tute anti-radiazioni usate da chi lavora nelle centrali, le quali hanno una radioattività bassissima, oppure le scorie prodotte dalle apparecchiature mediche sono classificate come scorie nucleari di I e II categoria.
Benché il plutonio sia radio-tossico, il suo recupero insieme all’uranio 238 e 235 è talvolta attuato. Il problema è che tali atomi sono misti ai prodotti di fissione (anch’essi altamente radio-tossici) e vanno dunque separati. Tale processo è detto ritrattamento delle scorie e produce da un lato nuovi elementi fertili e fissili, dall’altra delle scorie inutilizzabili ed estremamente pericolose che devono essere collocate in luoghi sicuri. Per quanto riguarda i costi, dovendo operare sul “combustibile irraggiato” cioè “spento” ovvero altamente radioattivo, il ritrattamento è una operazione estremamente onerosa e non è detto che sia economicamente conveniente effettuarla.
Va inoltre sottolineato che gli impianti di ritrattamento sono ovviamente a rischio di incidente nucleare; lo stesso trasporto dei materiali da e per questi impianti è soggetto a rischi. Alcuni degli incidenti più gravi oggi noti sono infatti avvenuti in queste installazioni. Nel 2008 in Francia sono avvenuti alcuni incidenti riguardanti proprio impianti di ritrattamento.
Per tali motivi non è detto che il ritrattamento venga attuato. Pertanto con “scorie” si può intendere sia il combustibile scaricato dai reattori, sia lo scarto inutilizzabile dei processi di ritrattamento. Nei due casi i volumi da smaltire (così come i rischi ed le problematiche citate) sono molto differenti.
Le scorie, vengono depositate in in aree terrene protette e contenute all’interno di barriere ingegneristiche; per le scorie a più alto livello di radioattività si propone invece il deposito geologico, ovvero allo stoccaggio in bunker sotterranei profondi e schermati in modo da evitare la fuoriuscita di radioattività nell’ambiente esterno.
Tuttavia anche se stoccate in luoghi sicuri, potrebbero accadere disastri, come attacchi terroristici o terremoti altamente catastrofici che possono infrangere le barriere e liberare nell’ambiente tutte le scorie conservate nei depositi, compromettendo notevolmente la salute nelle zone circostanti o persino di tutto il mondo. Per non parlare del fatto che le probabilità che avvenga un incidente durante il trasporto sono molto elevate, per via del calore sprigionato dal decadimento beta.
Secondo l’INSC, la quantità di scorie prodotte annualmente dall’industria nucleare mondiale ammonta, in termini di volume teorico, a 200.000 m3 di Medium and Intermediate Level Waste (MILW) e 10 000 m3 di High Level Waste (HLW). Questi ultimi, che sono i più radiotossici, prodotti annualmente in tutto il mondo occupano il volume di un campo di pallacanestro (30 m x 30 m x 11 m). Dati i piccoli volumi in gioco, la maggior parte dei 34 Paesi con impianti nucleari di potenza ha per ora adottato la soluzione del deposito delle scorie presso gli impianti stessi in attesa di soluzioni più durature. Alcuni Paesi hanno in costruzione depositi geologici sotterranei (Finlandia, Olkiluoto, gestito da Posiva Oy), altri paesi hanno viceversa abbandonato i loro progetti (ad esempio gli USA con Yucca Mountain, Nevada, che avrebbe dovuto essere gestito dal DOE, governativo).
Tali volumi teorici di materiale non possono essere “impacchettati” realmente in spazi del medesimo volume, ma devono essere “diluiti” in spazi più ampi soprattutto a causa del calore di decadimento delle scorie, della matrice in cui queste vengono incorporate per stabilizzarle, nonché delle barriere tecnologiche necessarie a contenerle (i contenitori, detti cask). Per tali ragioni i volumi reali sono maggiori di quelli teorici del materiale radioattivo in senso stretto. Nel caso del combustibile ritrattato, le 30 tonnellate annue scaricate dal reattore, producono 60 m3 di concentrato liquido ad alta attività, pari a circa 130 milioni di Curie. Con i processi sviluppati per solidificare la soluzione, il volume dei rifiuti ad alta attività si riduce a 4 m3, corrispondenti a circa 8 tonnellate, che equivalgono a 28 m3, una volta posizionati nel canister.
Per costruire dei reattori nucleari che non producano scorie nucleari dagli anni ’50 del secolo scorso si stanno studiando dei reattori a fusione nucleare, ma per ora tali reattori hanno un funzionamento non continuo (si riesce a tenere ‘accesa’ la reazione di fusione nucleare per tempi dell’ordine di grandezza della decina di secondi); la ricerca in questo campo tuttavia va avanti, pur fra mille dubbi sulla loro possibile realizzabilità e ipotesi di avere il primo reattore funzionante nel 2050. Il reattore nucleare a fusione più promettente è quello in corso di costruzione del progetto ITER nel sito francese di Cadarache.