Per penetranza si intende la probabilità che un determinato genotipo dia un determinato fenotipo. Parliamo di penetranza completa quando un determinato genotipo dà sempre un determinato fenotipo; parliamo invece di penetranza incompleta (al di sotto, quindi, del 100%), quando non tutti i portatori di un determinato gene, anche all’interno della stessa famiglia, presentano un certo fenotipo. Questo può essere un problema di consulenza genetica: nel momento in cui in una famiglia è presente un gene mutato, ma in un determinato individuo quel gene, pur mutato, non dà nessun tipo di patologia, non è detto che lo stesso gene, ereditato dai figli di quest’ultimo, non dia manifestazioni: si parla così di salto di generazione, per cui la malattia ricompare anche a distanza di generazioni. Questo innanzitutto perché stiamo parlando di malattie dominanti, in cui un singolo allele è mutato. In genere sono malattie dell’età adulta, e quindi possono comparire in età anche molto avanzata. Inoltre, in diversi individui ci possono essere geni modificatori, che sopperiscono alla mancanza di determinate proteine, o possono anche esserci polimorfismi, che possono rendere più o meno suscettibili rispetto ad una data patologia. Anche i fattori ambientali possono essere importanti nello scatenare o meno la patologia. Questo spiega la penetranza incompleta di determinate patologie, soprattutto quelle dominanti; mentre la penetranza delle patologie recessive è sempre completa: nel momento in cui entrambi gli alleli sono mutati, la malattia si manifesta sempre.
L’espressività variabile è una caratteristica delle patologie dominanti, si intende la variabilità di sintomi e manifestazioni cliniche che può derivare dalla mutazione di un gene. Un esempio è la neurofibromatosi di tipo 1; mutazioni del gene responsabile vanno da semplici macchie “caffelatte” a dei veri e propri neurofibromi: quindi una gravità completamente diversa a seconda del tipo di mutazione che colpisce questo gene.
Sono quindi molto importanti i geni modificatori, che sopperiscono alla funzione del gene che subisce la mutazione, e che possono alterare la penetranza, nonché l’espressività variabile, e in generale tutto ciò si riferisce alle malattie dovute ad un singolo gene, di per sé molto rare.
Per quanto riguarda il concetto di eterogeneità genetica, distinguiamo: eterogeneità di locus, eterogeneità allelica e eterogeneità clinica.
Parliamo di eterogeneità di locus (locus è in sinonimo di gene) quando mutazioni di loci diversi portano ad una stessa patologia: è il caso della sordità. Ci sono diverse proteine che intervengono affinché l’orecchio funzioni correttamente, quindi basta la mutazione di uno solo dei geni che codificano per proteine importanti per l’udito, per far comparire la sordità. Questo è il caso di patologie in cui una funzione viene determinata da più geni. Oppure c’è il caso dei pathway metabolici, in cui intervengono più enzimi: basta che uno di questi non funzioni adeguatamente per far sviluppare la patologia (ad esempio, la retinite pigmentosa presenta geni diversi, 12 forme dominanti, 5 forme recessive, 3 forme legate all’X, ma la patologia è sempre la stessa).
L’eterogeneità allelica si ha nel momento in cui mutazioni diverse interessano lo stesso gene. Questo porta, innanzitutto, ad espressività variabile. Ci sono diversi esempi di queste patologie: una sopra tutti è la fibrosi cistica o la β-talassemia, che hanno gravità diverse a seconda del tipo di mutazioni.
E poi abbiamo l’eterogeneità clinica, nel momento in cui mutazioni nello stesso gene portano a fenotipi e patologie completamente diverse. Per esempio, il gene RET, che è un recettore per fattore di crescita, nel caso in cui perda una funzione, porta ad un tipo di patologia; nel caso in cui ci sia un’acquisizione di funzione, che porta ad un’iperattività del gene stesso, si può avere lo sviluppo di una neoplasia. Malattie, quindi, completamente diverse tra di loro, ma che riguardano lo stesso gene.
Fonte: Genetica umana e medica.