Il virus dell’epatite D, scoperto nel 1977, è un virus ad RNA a singola elica difettivo poiché necessita della contemporanea compresenza del virus dell’epatite B (HBV), di cui utilizza l’involucro pericapsidico con annesse le proteine di superficie (HBsAg), per poter infettare gli epatociti: si manifesta col decorso tipico dell’HBV ma in rari casi può evolvere a forme severe di sovrainfezione sfociando nell’epatite fulminante.
Fa parte dei Deltavirus. Il genoma è molto piccolo con singolo filamento a polarità negativa con diverse sequenze ORF. Necessita della RNA-polimerasi dell’ospite per la trascrizione.
L’unica proteina codificata è l’antigene delta (HDAg).
Ci sono vari genotipi di cui quello prevalente in Europa è quello I. In tutto il mondo oltre 15 milioni di persone sono co-infettati. HDV è raro nei paesi più sviluppati ed è per lo più associato all’uso di droghe per iniezione.
Le vie di trasmissione del virus dell’epatite D sono simili a quelle per l’epatite B. L’infezione è in gran parte limitata alle persone ad alto rischio di infezione da epatite B, in particolare tossicodipendenti e persone sottoposte a trasfusioni di sangue o derivati non opportunamente controllate.
La diagnosi di HDV si basa sulla ricerca di IgM anti-AgD nella fase acuta e IgG che si presentano dopo alcune settimane. Viene cercato anche l’HDV-RNA nel sangue tramite PCR.
Soggetti immunizzati per HBV lo sono anche per HDV mentre per la terapia si ricorre all’INF-α peghilato con dosaggi più alti nei casi più gravi.
Fonte: Manuale di malattie infettive.