Il disturbo bipolare, noto anche come psicosi maniaco-depressiva, si manifesta quando un paziente presenta uno o più episodi depressivi che si alternano con episodi di polarità opposta, come mania e/o ipomania.
Di solito, tra i due episodi, il paziente riesce a guarire completamente e non c’è un ritmo regolare nella presentazione di nuovi episodi.
Secondo i criteri della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD), per diagnosticare questo disturbo devono essere presenti almeno un episodio maniacale e un episodio depressivo.
Nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), si può parlare di disturbo bipolare anche se è stato osservato un unico episodio maniacale, anche in assenza di episodi depressivi. Ciò significa che la mania non è considerata una malattia a sé stante come la depressione, ma è sempre parte integrante del disturbo bipolare.
Il DSM individua due tipi principali di disturbo bipolare:
- Disturbo bipolare I: Caratterizzato dalla presenza di almeno un episodio maniacale, che può essere seguito o preceduto da episodi ipomaniacali o episodi depressivi maggiori.
- Disturbo bipolare II: Caratterizzato dalla presenza di almeno un episodio depressivo e almeno un episodio ipomaniacale.
Ci sono diverse varianti di ritmo del disturbo bipolare che vengono evidenziate:
- Pattern stagionale: ricadute cicliche in primavera-estate (mania) e autunno-inverno (depressione).
- Insorgenza nel peri-partum: è frequente che il disturbo bipolare insorga nelle donne durante la gravidanza o nel mese successivo al parto, con un episodio maniacale o depressivo. È più comune nelle primipare.
- Cicli rapidi: si verifica quando un paziente presenta quattro o più episodi di umore (maniacali, ipomaniacali o depressivi) in un anno. Questo tipo rappresenta il 5-15% dei pazienti con disturbo bipolare e risponde meglio al valproato (o carbamazepina) rispetto al litio.
Esistono altri tipi di disturbo bipolare ancora in fase di studio, tra cui il disturbo bipolare III, che include la depressione associata alla mania/ipomania farmacologica; il disturbo bipolare IV, che includerebbe la ciclotimia; e il tipo V, caratterizzato dall’associazione della depressione con antecedenti familiari di disturbo bipolare.
Dal punto di vista epidemiologico, la prevalenza del disturbo bipolare di tipo I nella popolazione generale è stimata tra lo 0,5% e l’1,5%, senza differenze legate al sesso. Gli episodi maniacali sono più frequenti nei maschi. La prevalenza del disturbo bipolare di tipo II è leggermente inferiore (0,5%) ed è più comune nelle donne.
La prevalenza del disturbo bipolare durante l’intera vita è stata stimata tra il 4% e il 5% negli Stati Uniti.
Il periodo post-partum rappresenta sempre una situazione a rischio di ricaduta. Inoltre, un numero significativo di pazienti affetti da disturbo bipolare presenta comorbilità psichiatriche, come ansia, abuso di sostanze e ADHD (disturbo da deficit di attenzione ed iperattività). Tra queste, i disturbi di personalità sono le più comuni, con fino a 1/3 dei pazienti bipolari che presenta un disturbo di personalità. Ciò implica un maggiore consumo di farmaci e un livello inferiore di funzionalità.
Il disturbo bipolare presenta un decorso cronico, con il 90% dei pazienti che manifesta ricadute. Con l’età, l’intervallo di tempo tra gli episodi tende a diminuire. Sebbene tradizionalmente si sia detto che gli intervalli tra gli episodi siano asintomatici, il 30% dei pazienti presenta sintomi residuali, come labilità emotiva, tra gli episodi.
L’età d’insorgenza del disturbo bipolare può essere in qualsiasi momento della vita, ma di solito si colloca tra i 20 e i 30 anni. I soggetti affetti da questo disturbo presentano un rischio elevato di suicidio.
Per quanto riguarda l’eziologia, la componente genetica svolge un ruolo significativo. L’eredità del disturbo bipolare non è mendeliana, ma poligenica, come nella maggior parte dei disturbi psichiatrici. Si osserva un’elevata aggregazione familiare nel disturbo bipolare, con fino al 50% dei pazienti che ha almeno un familiare di primo grado con un disturbo psichiatrico grave. La concordanza nei gemelli monozigoti è maggiore nel disturbo bipolare (40-90%) rispetto alla depressione (>50%).
Le alterazioni neurochimiche, in particolare nei sistemi di dopamina, serotonina e noradrenalina, sono coinvolte nel disturbo bipolare. Si riscontra una diminuzione della dopamina nella depressione e un aumento nella mania, mentre vi sono alterazioni nella trasmissione e nei recettori della serotonina e della noradrenalina.
Il trattamento fondamentale del disturbo bipolare consiste nell’utilizzo degli stabilizzanti dell’umore, noti anche come normotimici o eutimizzanti. Questi includono sali di litio, valproato, carbamazepina, lamotrigina e altri anticonvulsivanti. Solitamente, questi farmaci vengono assunti a lungo termine come terapia cronica e considerati come un trattamento a vita.
- Nei casi di episodi depressivi gravi, vengono utilizzati anche antidepressivi, sempre in combinazione con gli stabilizzatori dell’umore e con monitoraggio per valutare il rischio di viraggio verso la mania. Tra gli antidepressivi, quelli con minor rischio di viraggio sono il bupropione e la paroxetina, mentre gli inibitori delle monoamino-ossidasi (IMAO) e i triciclici possono indurre viraggi più rapidamente.
- Nella depressione bipolare, il trattamento di prima linea prevede l’uso della quetiapina.
- Negli episodi maniacali, vengono impiegati gli antipsicotici, che mostrano una buona risposta. Gli antidepressivi sono controindicati in questa fase del disturbo. Gli ipnotici e gli ansiolitici vengono utilizzati solo come coadiuvanti e per periodi brevi.
È importante sottolineare che il trattamento del disturbo bipolare richiede una valutazione clinica e un’adeguata gestione farmacologica, che deve essere supervisionata da un professionista sanitario specializzato.
FONTE: Manuale di Psichiatria SSM