
L’anestesia e l’analgesia durante il parto richiedono una profonda comprensione delle modificazioni fisiologiche della gravidanza, degli effetti dei farmaci anestetici sulla madre e sul feto, nonché delle dinamiche del travaglio e delle possibili complicanze che possono insorgere e che necessitano d’immediato intervento
ostetrico. La scelta della tecnica più appropriata deve tenere conto delle condizioni cliniche della partoriente, dello stadio del travaglio, del benessere fetale e delle preferenze della paziente, sempre nel contesto di una decisione condivisa con il team medico.
Le fasi del parto e la natura del dolore
Il parto naturale si articola in tre fasi principali (dilatazione, fase espulsiva ed il secondamento), ciascuna caratterizzata da un tipo di dolore distinto.

Nella fase di dilatazione, il dolore è principalmente di natura viscerale, trasmesso dalle fibre C che raggiungono il plesso ipogastrico (T10-L1). Si presenta come un dolore sordo e continuo, legato alle contrazioni uterine e alla progressiva apertura del collo dell’utero.
Con l’avanzare del travaglio, nella fase espulsiva, il dolore diventa somatico, veicolato dalle fibre A-delta attraverso il nervo pudendo (S2-S4). Questa tipologia di dolore è più intensa, acuta e pulsante, percepita in corrispondenza del canale del parto durante le spinte.
Infine, il secondamento, ovvero l’espulsione della placenta, è generalmente meno doloroso rispetto alle fasi precedenti.
È importante sottolineare che la percezione del dolore è molto soggettiva e influenzata da fattori emotivi e psicologici, che possono modificarne l’intensità e la tollerabilità.
La scelta della tecnica anestetica
La decisione sul tipo di anestesia da impiegare dipende da diversi fattori, tra cui le condizioni generali della madre, l’andamento del travaglio e lo stato di salute del feto.
In caso di parto naturale, la tecnica di prima scelta è l’anestesia epidurale, che consente un controllo modulabile e prolungato del dolore grazie al posizionamento di un catetere attraverso il quale vengono somministrati anestetici locali, spesso associati a oppioidi.
Per un taglio cesareo programmato, invece, la tecnica preferita è l’anestesia subaracnoidea (spinale), che offre un’insorgenza rapida dell’effetto anestetico e una buona copertura per l’intervento chirurgico. Questa metodica è particolarmente indicata perché evita la necessità di un catetere epidurale e riduce l’esposizione del feto ai farmaci.
L’anestesia generale viene considerata solo in situazioni particolari, come emergenze ostetriche (ad esempio: shock emorragico) o quando le tecniche loco-regionali sono controindicate. I principali svantaggi di questa scelta includono il passaggio transplacentare dei farmaci anestetici, con possibili effetti depressivi sul neonato, e il maggior rischio di complicanze respiratorie nella madre, legate alla difficoltà di gestione delle vie aeree in gravidanza. Per via delle modificazioni parafisiologiche in gravidanza e per l’aumentata pressione intra-addominale, inoltre, la paziente incinta ha un maggior rischio di inalazione polmonare di contenuto gastrico.
Vantaggi della partoanalgesia
Oltre a ridurre drasticamente la percezione del dolore, l’analgesia durante il parto apporta numerosi benefici sia alla madre che al feto. Dal punto di vista materno, si osserva una riduzione dello stress legato al travaglio, con minore produzione di catecolamine e un conseguente miglioramento della perfusione uterina.
Dal lato fetale, la diminuzione del consumo di ossigeno da parte della madre si traduce in una maggiore disponibilità di ossigeno per il feto, contribuendo a prevenire situazioni di sofferenza fetale. Inoltre, l’uso di tecniche loco-regionali riduce il rischio di depressione respiratoria neonatale rispetto all’anestesia generale.
Farmaci e sicurezza nel parto
L’uso di farmaci anestetici e analgesici durante il parto richiede un’attenta valutazione del loro potenziale passaggio transplacentare e dei possibili effetti sul neonato. La maggior parte degli agenti farmacologici utilizzati è in grado di attraversare la barriera placentare, seppur in misura diversa, esponendo il feto a possibili conseguenze.
Tra i farmaci più comunemente impiegati, le benzodiazepine (come midazolam e diazepam) vengono talvolta utilizzate per controllare l’ansia materna. Tuttavia, data la loro liposolubilità, raggiungono rapidamente la circolazione fetale, con il rischio di indurre sedazione neonatale prolungata. Per questo motivo, se necessarie, è preferibile ricorrere a dosaggi minimi e a farmaci a emivita breve, come il midazolam, che risulta più sicuro anche in caso di allattamento.
La ketamina, un anestetico dissociativo, offre un’efficace analgesia a basse dosi senza provocare una completa perdita di coscienza. Tuttavia, a dosaggi elevati può deprimere i riflessi delle vie aeree e aumentare il rischio di aspirazione, rendendo necessaria una stretta vigilanza sulla funzione respiratoria materna. Inoltre, il suo uso prolungato può associarsi a effetti neurocomportamentali nel neonato.
Gli oppioidi, ampiamente utilizzati in associazione agli anestetici locali nelle tecniche loco-regionali, rappresentano un’arma a doppio taglio. Se da un lato migliorano significativamente il controllo del dolore, dall’altro possono causare depressione respiratoria sia nella madre che nel feto, soprattutto se somministrati in eccesso o in prossimità del parto. Per ridurre questi rischi, è fondamentale un dosaggio accurato e un monitoraggio continuo del benessere fetale.
Infine, gli anestetici generali, come il propofol e i gas alogenati, vengono impiegati solo quando strettamente necessario, poiché il loro rapido passaggio placentare può determinare una significativa depressione cardiocircolatoria e neurologica nel neonato. L’uso di queste sostanze è quindi limitato a situazioni di emergenza, dove i benefici superano chiaramente i potenziali rischi.
Data la preoccupazione per gli effetti farmacologici sul feto, le tecniche di anestesia loco-regionale – in particolare l’anestesia subaracnoidea o spinale e l’anestesia peridurale o epidurale – rappresentano la scelta preferenziale nella maggior parte dei casi. Questi approcci minimizzano l’esposizione sistemica del feto ai farmaci anestetici, offrendo al contempo un’efficace analgesia.
- minimo passaggio transplacentare:
- gli anestetici locali utilizzati (come ropivacaina e bupivacaina) hanno un limitato trasferimento placentare;
- gli oppioidi aggiunti (come fentanil o sufentanil) vengono utilizzati a dosi molto più basse rispetto alla somministrazione sistemica;
- profilo di sicurezza ottimale:
- rispetto all’anestesia generale, evitano i rischi di depressione respiratoria neonatale;
- riducono l’esposizione fetale ai farmaci sedativi che possono influenzare l’adattamento neonatale;
- vantaggi aggiuntivi:
- mantenimento della coscienza materna durante il parto
- possibilità di partecipazione attiva al parto;
- minor interferenza con l’allattamento precoce.
Fonte: Manuale di anestesia e rianimazione. Concorso Nazionale SSM.