Valutazione non invasiva della cardiopatia ischemica: tecniche funzionali e anatomiche non invasive a confronto

La diagnosi e la stratificazione del rischio nei pazienti con sospetta cardiopatia ischemica si avvalgono oggi di numerose metodiche non invasive, che possono essere suddivise in test funzionali, mirati a rilevare l’ischemia inducibile, e test anatomici, finalizzati all’identificazione diretta delle stenosi coronariche. A seconda delle caratteristiche cliniche del paziente, delle controindicazioni e della disponibilità delle tecnologie, è possibile scegliere tra ECG da sforzo, ecocardiogramma da stress, scintigrafia miocardica di perfusione e TC coronarica. Ciascuna metodica presenta vantaggi, limiti e indicazioni specifiche.

ECG da sforzo al cicloergometro

Tra i principali esami diagnostici per la valutazione dell’ischemia miocardica, l’ECG da sforzo al cicloergometro o tapis roulant rappresenta una delle metodiche più diffuse. L’esame si esegue monitorando continuamente l’elettrocardiogramma, la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca del paziente durante l’esercizio fisico.

Lo scopo principale è evidenziare eventuali segni clinici o elettrocardiografici di ischemia miocardica, come il sottoslivellamento del tratto ST. La sensibilità globale dell’ECG da sforzo si attesta attorno al 75%, ma può raggiungere l’80-100% nei casi di patologia trivasale e/o coinvolgimento del tronco comune. Tuttavia, la sensibilità cala significativamente nelle forme monovasali, dove sono relativamente frequenti i falsi negativi, specie se l’arteria coinvolta è la circonflessa.

Il test può risultare positivo (comparsa di sintomi o alterazioni ECG suggestive di ischemia), negativo, o non dirimente (quando il paziente non raggiunge un carico di lavoro sufficiente per escludere in modo affidabile l’ischemia). Per essere considerato realmente negativo, il test deve soddisfare determinati criteri, in assenza dei quali il risultato non è conclusivo:

  • raggiungimento dell’85% della frequenza cardiaca massima teorica per età;
  • consumo di ossigeno superiore a 8 METS (equivalenti metabolici);
  • doppio prodotto (frequenza cardiaca max x pressione arteriosa max) maggiore di 20.000.

L’esame deve essere interrotto in caso di comparsa di angina, dispnea severa, sottoslivellamento del tratto ST >2 mm, ipotensione significativa (riduzione della PAS >15 mmHg), tachiaritmie o affaticamento muscolare importante.

Secondo le più recenti linee guida, l’ergometria resta lo strumento di prima scelta per valutare tolleranza allo sforzo, sintomi da sforzo, aritmie da esercizio, e risposte pressorie anomale. Può inoltre essere un’alternativa valida quando i test di imaging (come ecostress, scintigrafia miocardica o cardio-RM da stress) non sono eseguibili o disponibili.

Indicazioni principali

L’ECG da sforzo è indicato per:

  • diagnosi di cardiopatia ischemica in pazienti con fattori di rischio cardiovascolare e dolore toracico atipico o dubbio, con ECG basale normale;
  • valutazione prognostica in pazienti con cardiopatia ischemica nota, al fine di monitorare la risposta alla terapia o identificare situazioni ad alto rischio che richiedano una rivascolarizzazione.

Controindicazioni

Esistono condizioni in cui il test è controindicato:

  • prima settimana post-infarto miocardico acuto;
  • entro 48 ore da un episodio di angina instabile;
  • miocardite, pericardite, endocardite;
  • aritmie gravi o non controllate;
  • scompenso cardiaco conclamato;
  • embolia polmonare in fase acuta;
  • stenosi aortica severa e sintomatica;
  • patologie acute sistemiche gravi.

Criteri di alto rischio durante il test

Alcuni reperti durante il test ergometrico indicano un elevato rischio cardiovascolare:

  • comparsa precoce di angina o modificazioni ECG a basso carico di lavoro;
  • incapacità di raggiungere i 120 bpm in assenza di farmaci cronotropi negativi (insufficienza cronotropa);
  • caduta della pressione arteriosa sistolica >10 mmHg rispetto ai valori basali;
  • alterazioni elettrocardiografiche specifiche:
    • sottoslivellamento del tratto ST >2 mm;
    • ST depressi in più di 5 derivazioni;
    • persistenza di alterazioni ECG a 5 minuti dall’inizio del recupero;
    • tachicardia ventricolare indotta da sforzo;
    • sopraslivellamento del tratto ST.

Falsi positivi e negativi

Il test presenta un tasso di falsi positivi di circa il 15%, più frequente in:

  • donne giovani;
  • pazienti con anomalie della conduzione, onda T o tratto ST a riposo;
  • ipertrofia ventricolare sinistra;
  • squilibri elettrolitici (es. ipokaliemia);
  • terapie con digossina o chinidina.

I falsi negativi, anch’essi attorno al 15%, sono più comuni nei casi di malattia coronarica monovasale, in particolare se coinvolge l’arteria circonflessa.

Situazioni che impediscono l’uso del test ergometrico

L’ECG da sforzo non è utilizzabile nei seguenti contesti:

  • Alterazioni ECG basali che rendono non interpretabile il tratto ST:
    • blocco di branca sinistro;
    • pacemaker;
    • ipertrofia ventricolare sinistra con alterazioni repolarizzative;
    • terapia con digossina e sottoslivellamento ST >1 mm già a riposo.
  • incapacità fisica a svolgere l’esercizio:
    • patologie osteoarticolari (es. artrosi avanzata);
    • arteriopatia periferica;
    • età avanzata o comorbilità limitanti.

In questi casi, è preferibile ricorrere a test di imaging provocativi farmacologici, come l’ecocardiogramma da stress (con dobutamina), la scintigrafia miocardica o la cardio-RM da stress, che offrono maggiore sensibilità e specificità rispetto all’ECG da sforzo. Inoltre, questi esami permettono di localizzare con precisione il territorio ischemico e, potenzialmente, l’arteria coronarica coinvolta, cosa non possibile con il solo tracciato elettrocardiografico.

Ecocardiografia da sforzo o da stress

L’ecocardiografia da stress è un esame che consente di valutare la funzione contrattile del miocardio durante uno stress indotto, che può essere fisico (esercizio su cicloergometro o tapis roulant) o farmacologico, mediante la somministrazione di farmaci come dobutamina o dipiridamolo. Questi ultimi aumentano la richiesta di flusso coronarico o modificano la distribuzione regionale della perfusione, inducendo potenzialmente ischemia nelle aree miocardiche affette da stenosi coronarica.

In presenza di ischemia, il miocardio sviluppa alterazioni della contrattilità regionale (ipopinesia, acinesia o disinesia) che possono essere rilevate ecograficamente in tempo reale. Oltre alla funzione contrattile, si monitora la comparsa di sintomi e l’eventuale comparsa di alterazioni del tracciato ECG, analogamente a quanto avviene durante un test da sforzo tradizionale.

Rispetto all’ECG da sforzo, l’ecocardiografia da stress offre una sensibilità e una specificità superiori nella diagnosi di ischemia miocardica. Per questo motivo, quando disponibile e se non controindicata, viene spesso preferita, specialmente in pazienti con tracciato ECG non interpretabile o in quelli che non possono eseguire un esercizio fisico adeguato.

Scintigrafia miocardica di perfusione

La scintigrafia di perfusione miocardica, comunemente eseguita mediante tecnica SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography), è un esame funzionale che valuta la perfusione del miocardio attraverso la somministrazione endovenosa di isotopi radioattivi. L’isotopo si distribuisce preferenzialmente nelle aree miocardiche vitali e ben perfuse, mentre le aree ischemiche o necrotiche mostrano una ridotta o assente captazione.

L’indagine si compone di due fasi: una durante stress (fisico o più frequentemente farmacologico, con farmaci quali dipiridamolo, adenosina o dobutamina) e una a riposo. Il confronto tra le due consente di distinguere tra necrosi, ischemia reversibile o normale perfusione. In particolare:

  • le aree che non captano né a riposo né sotto sforzo sono considerate necrotiche;
  • le aree che captano in entrambe le condizioni sono normali.
  • le aree che captano a riposo ma non sotto sforzo sono ischemiche, e quindi sede di sofferenza miocardica reversibile.

Questo esame è particolarmente utile per localizzare il territorio ischemico e valutarne l’estensione e la gravità, con un buon valore predittivo sia positivo che negativo.

TC coronarica

Diversamente dagli esami sopra descritti, che hanno lo scopo di identificare la presenza di ischemia miocardica attraverso l’analisi della funzione e della perfusione, la TC coronarica è un esame anatomico, utile per visualizzare direttamente le arterie coronarie. Grazie all’utilizzo di mezzo di contrasto iodato, consente di identificare con buona accuratezza la presenza, la localizzazione e l’entità di eventuali stenosi aterosclerotiche. Può inoltre quantificare il grado di calcificazione coronarica mediante il Calcium Score.

Arteria circonflessa senza lesioni visualizzata con una TC multistrato

Le più recenti linee guida ne raccomandano l’impiego come esame di prima scelta nella valutazione iniziale della coronaropatia nei pazienti sintomatici, soprattutto in quelli con bassa probabilità pre-test, senza diagnosi nota di coronaropatia e con frequenza cardiaca stabile e contenuta (idealmente tra 65 e 75 bpm, per ridurre artefatti da movimento). In questo contesto, la TC coronarica ha un alto valore predittivo negativo, risultando estremamente utile per escludere in modo affidabile la presenza di malattia coronarica ostruttiva.

Oltre alla coronaropatia, la TC può contribuire alla diagnosi differenziale del dolore toracico acuto, permettendo di escludere con buona affidabilità patologie potenzialmente letali come embolia polmonare e dissezione aortica. Grazie a questa versatilità, trova indicazione anche nei pazienti in Pronto Soccorso con dolore toracico non conclusivo.

Risonanza magnetica cardiaca

Tra le metodiche di imaging non invasivo, la risonanza magnetica cardiaca (cardio-RM) occupa un ruolo sempre più centrale grazie alla sua capacità di fornire informazioni morfologiche, funzionali e tissutali in un’unica indagine, senza esposizione a radiazioni ionizzanti.

La cardio-RM consente di valutare con elevata precisione la funzione ventricolare, evidenziando eventuali anomalie della cinetica regionale come ipocinesie o acinesie. È inoltre in grado di studiare la perfusione miocardica mediante tecniche di stress farmacologico, in modo simile alla scintigrafia o all’ecocardiogramma da stress, ma con una sensibilità e specificità superiori in molti contesti clinici.

Uno dei principali punti di forza della risonanza è la sua capacità di caratterizzare il tessuto miocardico. Grazie alla tecnica del late gadolinium enhancement (LGE), è possibile visualizzare la presenza di fibrosi o necrosi, differenziando così tessuto sano da quello cicatriziale. Le immagini T2 pesate, invece, permettono di rilevare edema miocardico, caratteristico delle fasi acute dell’infarto, consentendo quindi di distinguere un infarto recente da una lesione pregressa.

Un ulteriore vantaggio clinico della cardio-RM è rappresentato dalla sua utilità nella diagnosi differenziale di condizioni che mimano l’infarto miocardico, come la miocardite e la sindrome di Takotsubo. In questi casi, la distribuzione non coronarica del LGE, la presenza di edema in aree atipiche o l’assenza di stenosi coronariche consentono un inquadramento diagnostico accurato.

Per la sua elevata risoluzione spaziale e la completezza delle informazioni ottenibili, la risonanza magnetica cardiaca è oggi considerata lo standard di riferimento per molte indicazioni, sia in ambito ischemico che non ischemico.

Fonte: Manuale di cardiologia, chirurgia vascolare e cardiochirurgia. Concorso Nazionale SSM.

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