Le malattie cardiovascolari rappresentano una delle principali cause di morbilità e mortalità a livello globale, con un impatto significativo sia sulla qualità della vita dei pazienti che sui sistemi sanitari. La gestione di queste patologie è complessa e richiede un approccio multidisciplinare che integri prevenzione, diagnosi precoce e trattamenti personalizzati. In questo contesto, i farmaci giocano un ruolo cruciale nell’alleviare i sintomi, migliorare la prognosi e ridurre il rischio di eventi cardiovascolari futuri.

L’evoluzione della farmacologia cardiologica è stata straordinaria negli ultimi decenni, con lo sviluppo di terapie sempre più mirate ed efficaci. Dalle tradizionali classi di farmaci, come i beta-bloccanti e gli ACE-inibitori, alle più recenti terapie biologiche e farmaci a bersaglio molecolare, il panorama terapeutico si è ampliato considerevolmente. Questa evoluzione riflette una comprensione sempre più approfondita dei meccanismi fisiopatologici che sottendono le malattie cardiache, consentendo approcci terapeutici sempre più precisi.

Inibitori dell’asse renina-angiotensina-aldosterone

ACE-inibitori

Gli ACE-inibitori come captopril, enalapril, quinapril, ramipril, inibiscono competitivamente l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), responsabile della trasformazione dell’angiotensina I in angiotensina II. L’angiotensina II è un potente vasocostrittore, stimola il riassorbimento di sodio nei tubuli renali, favorisce il rilascio di adrenalina e aldosterone e induce ipertrofia dei cardiomiociti. Gli ACE-inibitori agiscono come vasodilatatori, promuovendo la natriuresi, riducendo i livelli plasmatici di catecolamine e contrastando il rimodellamento cardiaco, soprattutto nel post-infarto.

Questi farmaci sono indicati in caso di:

  • insufficienza cardiaca: farmaci di prima linea per ridurre mortalità, riospedalizzazioni e progressione della malattia;
  • ipertensione arteriosa: particolarmente indicati in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, diabete, infarto miocardico pregresso o alto rischio cardiovascolare;
  • infarto miocardico acuto (IMA): benefici documentati già entro 36 ore dall’evento ischemico, specialmente nei pazienti ad alto rischio;
  • nefropatia diabetica: esercitano un effetto nefroprotettivo, particolarmente in presenza di proteinuria.

Gli effetti indesiderati più comuni includono ipotensione, tosse secca (5-10% dei pazienti), angioedema, iperkaliemia e insufficienza renale acuta, soprattutto in pazienti con stenosi bilaterale delle arterie renali. Controindicati in gravidanza per il rischio teratogeno nel secondo e terzo trimestre.

Antagonisti del recettore dell’angiotensina II (sartani)

I sartani come losartan, candesartan, valsartan, bloccano selettivamente i recettori dell’angiotensina II, offrendo effetti simili agli ACE-inibitori ma senza causare tosse o angioedema.

Inibitori diretti della renina

Questa classe, rappresentata principalmente dall’aliskiren, agisce legandosi alla renina e bloccando la conversione dell’angiotensinogeno in angiotensina I. A differenza degli ACE-inibitori e dei sartani, non aumenta l’attività della renina plasmatica (ARP), un potenziale fattore di rischio cardiovascolare. Tuttavia, l’aliskiren è approvato in Italia solo per il trattamento dell’ipertensione.

ACE-inibitori, sartani e aliskiren non devono essere usati in combinazione a causa del rischio elevato di iperkaliemia.

Antialdosteronici

Gli antialdosteronici, come lo spironolattone e l’eplerenone, sono diuretici risparmiatori di potassio che antagonizzano i recettori dell’aldosterone, riducendo la ritenzione di sodio e l’ipertrofia cardiaca associata.

Diuretici

I diuretici sono farmaci essenziali nel trattamento di diverse condizioni mediche grazie alla loro capacità di favorire l’eliminazione di sodio e acqua dai reni. Agiscono su specifiche porzioni del nefrone e si suddividono in diverse categorie in base al loro meccanismo d’azione e alle indicazioni terapeutiche.

  • I diuretici tiazidici (clorotiazide, idroclorotiazide, clortalidone, indapamide) inibiscono il riassorbimento di sodio nel tubulo distale bloccando il trasportatore Na⁺/Cl⁻. Sono meno efficaci se il filtrato glomerulare scende sotto i 40 ml/min, ma risultano utili nel ridurre l’eliminazione di calcio, proteggendo da ipocalcemia.
  • I diuretici dell’ansa (furosemide, acido etacrinico, bumetanide, torasemide) agiscono sul segmento ascendente dell’ansa di Henle, bloccando il riassorbimento di sodio, potassio e cloro. Sono i più potenti della categoria e rimangono efficaci anche in presenza di filtrato glomerulare ridotto, rendendoli fondamentali in situazioni di emergenza.
  • I diuretici risparmiatori di potassio (spironolattone, eplerenone, amiloride, triamterene) operano nel tubulo distale e collettore. Lo spironolattone e l’eplerenone, come già detto, antagonizzano l’aldosterone, mentre amiloride e triamterene inibiscono lo scambio sodio-potassio indipendentemente dall’aldosterone, riducendo così il rischio di ipokaliemia.
  • Gli inibitori dell’anidrasi carbonica (come l’acetazolamide) agiscono nel tubulo prossimale riducendo il riassorbimento di bicarbonato. Tuttavia, il loro utilizzo come diuretici è limitato.
  • I diuretici osmotici, rappresentati dal mannitolo, non vengono riassorbiti dai reni, aumentando l’escrezione di acqua ed elettroliti. Sono indicati principalmente per ridurre la pressione intraoculare nel glaucoma, trattare l’ipertensione endocranica e durante procedure di bypass cardiopolmonare.

Questa classe di farmaci è impiegata e trova indicazione:

  • nell’insufficienza cardiaca, i diuretici dell’ansa sono di prima scelta grazie alla loro potenza e alla capacità di mantenere l’efficacia anche con filtrato glomerulare inferiore a 25 ml/min. Possono essere associati ai tiazidici per un effetto combinato e ai risparmiatori di potassio per prevenire l’ipokaliemia. Lo spironolattone, in particolare, migliora la sopravvivenza nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia;
  • per l’ipertensione arteriosa, i tiazidici rappresentano il trattamento di elezione. La loro azione iniziale si basa sulla riduzione della volemia attraverso la natriuresi, mentre a lungo termine inducono vasodilatazione. Sono particolarmente indicati nell’ipertensione sistolica isolata dell’anziano e possono essere combinati con altri farmaci antipertensivi;
  • negli stati edematosi con iperaldosteronismo secondario, i risparmiatori di potassio come spironolattone ed eplerenone sono particolarmente utili. Nei casi di ipercalciuria o litiasi calcica recidivante, i tiazidici riducono l’eliminazione urinaria di calcio, prevenendo la formazione di calcoli;
  • nella rara sindrome di Liddle, l’amiloride e il triamterene rappresentano i farmaci di prima linea per correggere l’eccessiva attività del canale del sodio.

Per quanto riguarda gli effetti collaterali, tutti i diuretici possono causare deplezione di volume con ipotensione arteriosa. Tra gli effetti specifici:

  • i tiazidici sono associati a ipercalcemia, iperuricemia, iperlipidemia e iperglicemia;
  • i diuretici dell’ansa possono provocare ipokaliemia, ipocalcemia e ototossicità;
  • i risparmiatori di potassio, possono indurre iperkaliemia e, nel caso dello spironolattone, ginecomastia;
  • gli inibitori dell’anidrasi carbonica sono invece legati ad acidosi metabolica.

Le controindicazioni includono stati di deplezione di volume e preeclampsia. I risparmiatori di potassio sono controindicati nell’insufficienza renale, poiché aumentano il rischio di iperkaliemia, e richiedono particolare attenzione se utilizzati insieme ad ACE-inibitori, beta-bloccanti o in pazienti diabetici. Nei pazienti con BPCO, i diuretici dell’ansa devono essere somministrati con cautela per evitare l’aggravamento dell’alcalosi metabolica.

Beta-bloccanti

I beta-bloccanti sono farmaci che agiscono bloccando i recettori adrenergici beta, riducendo così gli effetti delle catecolamine sul cuore e sul sistema vascolare. Sono utilizzati in numerose condizioni cardiovascolari e sistemiche, grazie alla loro capacità di modulare la contrattilità cardiaca, il ritmo e il tono vascolare.

I beta-bloccanti agiscono sui recettori adrenergici beta, suddivisi in:

  • beta-1: localizzati prevalentemente nel cuore, la loro inibizione provoca effetti inotropi e cronotropi negativi, riducendo la contrattilità e la frequenza cardiaca;
  • beta-2: presenti principalmente a livello bronchiale e vascolare, il loro blocco può indurre broncocostrizione e vasocostrizione;
  • beta-3: localizzati nel tessuto adiposo, regolano il processo di lipolisi.

La classificazione dei beta-bloccanti si basa principalmente sulla loro selettività per i recettori adrenergici beta-1 e beta-2, oltre che su alcune proprietà aggiuntive che ne influenzano l’effetto clinico e il profilo farmacocinetico. Queste differenze rendono ogni sottogruppo più indicato per specifiche condizioni cliniche, garantendo una maggiore sicurezza ed efficacia a seconda del contesto terapeutico. Tra i farmaci riconosciamo quindi i betabloccanti:

  1. cardioselettivi (blocco preferenziale dei recettori beta-1): atenololo, bisoprololo, esmololo, metoprololo, nebivololo. Questi farmaci riducono gli effetti sul sistema respiratorio, rendendoli più sicuri nei pazienti con malattie polmonari;
  2. non cardioselettivi (blocco dei recettori beta-1 e beta-2): nadololo, propranololo, sotalolo, timololo. Questi farmaci possono causare effetti collaterali broncocostrittori e sono meno indicati nei pazienti con asma o BPCO;
  3. beta-bloccanti con effetto vasodilatatore associato:
    • antagonisti beta e alfa-1: carvedilolo, labetalolo;
    • vasodilatazione indipendente dal blocco adrenergico: nebivololo;
  4. beta-bloccanti con attività simpatico-mimetica intrinseca: pindololo, alprenololo, acebutololo, oxprenololo. Hanno un’azione beta-agonista debole, riducendo la frequenza cardiaca a riposo senza influire significativamente durante l’esercizio;
  5. farmaci che prolungano l’intervallo QT: sotalolo.
  6. farmaci con emivita breve: esmololo, indicato per utilizzo in emergenza o in terapia intensiva.

Indicazioni cliniche

  • scompenso cardiaco: i beta-bloccanti contrastano l’eccessiva stimolazione catecolaminergica tipica dello scompenso cardiaco, prevenendo il rimodellamento patologico del miocardio e migliorando la sopravvivenza nei pazienti con insufficienza cardiaca sistolica. Sono indicati nei pazienti stabili e vanno introdotti gradualmente (es. carvedilolo, metoprololo, bisoprololo, nebivololo);
  • cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: riducendo la frequenza cardiaca e migliorando il riempimento ventricolare, i beta-bloccanti sono utili nella gestione della disfunzione diastolica;
  • cardiopatia ischemica e infarto miocardico: nei pazienti con angina pectoris, i beta-bloccanti limitano il consumo di ossigeno miocardico attraverso la riduzione della frequenza cardiaca e della contrattilità. Nel post-infarto, diminuiscono il rischio di morte improvvisa, reinfarto e aritmie ventricolari maligne;
  • ipertensione arteriosa: i beta-bloccanti, specialmente in presenza di condizioni associate come scompenso cardiaco, fibrillazione atriale, angina o post-infarto, sono raccomandati a qualsiasi livello di severità dell’ipertensione. Inoltre, rappresentano un’opzione sicura per donne in gravidanza o che pianificano una gravidanza.
  • altre indicazioni: i beta-bloccanti non selettivi sono indicati in patologie sistemiche quali ipertiroidismo, tremore essenziale, dissezione aortica e nella profilassi dell’emicrania.

L’uso dei beta-bloccanti richiede una valutazione attenta delle condizioni del paziente, specialmente nei casi di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) o asma, dove i cardioselettivi sono preferibili. Il trattamento deve essere iniziato a basse dosi, con un progressivo incremento per garantire tollerabilità ed efficacia.

Inibitore della neprilisina/antagonista del recettore dell’angiotensina II

Il sacubitril/valsartan rappresenta una nuova classe farmacologica, gli ARNI (Angiotensin Receptor Neprilisin Inhibitors), utilizzata nel trattamento dello scompenso cardiaco cronico. Questo farmaco combina un inibitore della neprilisina (sacubitril) e un antagonista del recettore dell’angiotensina II (valsartan). La neprilisina è un’endopeptidasi che degrada i peptidi natriuretici atriali, i quali svolgono un ruolo fisiologico nell’aumentare la natriuresi e nell’inibire la fibrosi, il remodeling e l’apoptosi. Tuttavia, la neprilisina degrada anche l’angiotensina II, per cui la sua inibizione farmacologica aumenta sia i livelli circolanti dei peptidi natriuretici atriali (effetto benefico e desiderato) sia quelli dell’angiotensina II (effetto nocivo e non voluto nei pazienti scompensati).

Per neutralizzare gli effetti negativi dell’aumento dell’angiotensina II, l’inibitore della neprilisina (sacubitril) viene sempre associato a un antagonista del recettore dell’angiotensina II (valsartan). Il trial clinico PARADIGM-HF, che ha validato l’efficacia di questo farmaco, è attualmente considerato il più ampio studio sulla mortalità e morbidità nei pazienti con scompenso cardiaco cronico a ridotta frazione di eiezione. Questo studio ha dimostrato che il sacubitril/valsartan, rispetto all’enalapril, riduce la mortalità cardiovascolare e per tutte le cause, oltre a diminuire le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. Il trial è stato interrotto precocemente a causa degli eccessivi benefici riscontrati.

Il sacubitril/valsartan è indicato come farmaco di prima linea secondo le linee guida ESC/EACTS 2021, in sostituzione degli ACE-inibitori o dei sartani nei pazienti con frazione di eiezione ≤35% che rimangono sintomatici nonostante una terapia ottimizzata con ACE-inibitori, beta-bloccanti e antagonisti dei recettori per l’aldosterone. Rispetto alla classica inibizione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, il sacubitril/valsartan può causare con maggiore frequenza ipotensione arteriosa, aumento della creatinina e dei livelli di potassio sierici, sebbene non rappresenti un evidente problema di sicurezza per il paziente. Pertanto, i pazienti in trattamento con questo farmaco devono monitorare attentamente la pressione arteriosa, la funzionalità renale e la kaliemia.

Esistono tre dosaggi disponibili per il sacubitril/valsartan: 24 mg/26 mg, 49 mg/51 mg e 97 mg/103 mg, da assumere due volte al giorno. Il farmaco è indicato in pazienti già in terapia con un inibitore dell’asse RAA che non raggiungono un adeguato compenso emodinamico.

Calcio antagonisti

I calcio-antagonisti agiscono bloccando i canali del calcio, riducendo così la concentrazione intracellulare di Ca²⁺. Si classificano in due categorie principali: non diidropiridinici (centrali) e diidropiridinici (periferici).

  • Calcio-antagonisti non diidropiridinici (verapamil, diltiazem): esercitano un effetto vasodilatatore, inotropo, cronotropo e dromotropo negativo, risultando bradicardizzanti. A causa della loro marcata azione sul nodo AV, non devono mai essere associati ai beta-bloccanti, per evitare un eccessivo effetto cardiodepressore.
    Sono utilizzati principalmente come antiaritmici di classe IV, riducendo la velocità di conduzione attraverso il nodo AV, e sono indicati nel trattamento delle tachicardie sopraventricolari e della fibrillazione atriale con risposta ventricolare rapida. Tuttavia, sono controindicati in caso di malattia del nodo del seno, poiché possono causare bradicardia e blocchi AV.
  • Calcio-antagonisti diidropiridinici (nifedipina, amlodipina, felodipina, nicardipina):
    Questi farmaci agiscono selettivamente a livello vascolare, provocando vasodilatazione, con un effetto limitato sul miocardio e sul sistema di conduzione. Se utilizzati in forme a rilascio rapido, possono indurre tachicardia riflessa, rendendoli farmaci tachicardizzanti.
    Sono preferiti nella terapia dell’ipertensione arteriosa, soprattutto nelle formulazioni a rilascio lento, che producono una vasodilatazione graduale e riducono il rischio di tachicardia riflessa. Nella cardiopatia ischemica, sono impiegati come antianginosi, poiché riducono il consumo miocardico di ossigeno e aumentano il flusso diastolico coronarico. Tuttavia, la nifedipina in monoterapia è sconsigliata per il rischio di tachicardia riflessa, che può peggiorare l’angina; in tal caso, è preferibile associarla a un beta-bloccante.

Indicazioni principali:

  • ipertensione arteriosa: i calcio-antagonisti, in particolare i diidropiridinici a rilascio lento, sono utilizzati per il loro effetto vasodilatatore sui vasi di resistenza;
  • cardiopatia ischemica: sono impiegati come antianginosi, ma con cautela nell’uso della nifedipina in monoterapia;
  • aritmie: verapamil e diltiazem sono indicati per le tachicardie sopraventricolari e la fibrillazione atriale con risposta ventricolare rapida;
  • altre indicazioni: cardiomiopatia ipertrofica, insufficienza cardiaca diastolica, malattia vascolare periferica, ecc.

Controindicazioni:

  • fase acuta della sindrome coronarica acuta con sopraslivellamento del tratto ST;
  • combinazione di verapamil/diltiazem con beta-bloccanti, a causa del rischio di effetto cardiodepressore, specialmente in pazienti con insufficienza cardiaca o alterazioni della conduzione AV;
  • uso di verapamil e diltiazem in pazienti con malattia del nodo del seno, per il rischio di bradicardia e blocchi AV;
  • calcio-antagonisti a effetto rapido (es. nifedipina), che possono causare tachicardia riflessa ed eventi coronarici.

Effetti collaterali:

  • diidropiridinici: sindrome da vasodilatazione periferica, con edemi degli arti inferiori, rubor facciale, ipotensione, tachicardia riflessa e nausea;
  • non diidropiridinici: effetto cardiodepressore, con rischio di insufficienza cardiaca, bradicardia e blocchi AV. Tra gli effetti non cardiaci, la stipsi è il più comune.

Nitrati

I nitrati vengono convertiti in ossido nitrico (NO), che aumenta i livelli di GMPc a livello della parete vascolare. Questo riduce la concentrazione intracellulare di calcio, causando una vasodilatazione prevalentemente venosa e, in misura minore, arteriosa.

I nitrati possono essere somministrati attraverso diverse vie: percutanea, sublinguale, orale e endovenosa. Esistono preparati ad azione rapida, come la nitroglicerina (NTG) sublinguale o endovenosa e il nitroprussiato endovenoso, e preparati ad azione più lenta, come la NTG transdermica, l’isosorbide mononitrato e l’isosorbide dinitrato per via orale. Un problema comune associato alla terapia cronica con nitrati è lo sviluppo di tolleranza farmacologica (tachifilassi), che rende necessaria una somministrazione intermittente, con un intervallo di sospensione giornaliero per mantenere l’efficacia.

La principale indicazione dei nitrati è come farmaci antianginosi, poiché riducono il precarico e, di conseguenza, il lavoro del miocardio, migliorando al contempo la perfusione miocardica attraverso la vasodilatazione. Il nitroprussiato sodico, in particolare, è uno dei trattamenti di prima scelta nella gestione della crisi ipertensiva.

Effetti collaterali:

  • comuni: cefalea, nausea, vomito, ipotensione arteriosa, tachicardia riflessa e metaemoglobinemia;
  • specifici del nitroprussiato: oltre ai suddetti effetti, può causare acidosi lattica, accumulo di tiocianato e ipotiroidismo.

È controindicato associare nitrati agli inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (es. sildenafil), poiché questa combinazione può provocare un’eccessiva vasodilatazione e ipotensione grave.

Antiaritmici

Gli antiaritmici sono farmaci utilizzati per il trattamento delle aritmie cardiache. Si classificano in quattro classi principali, in base al loro meccanismo d’azione.

Classe I

I farmaci di classe I bloccano i canali del sodio (Na⁺), riducendo la velocità massima della fase 0 della depolarizzazione. Si suddividono in tre sottoclassi:

  • Classe I A (Chinidina, procainamide, disopiramide). Agiscono riducendo la velocità massima di depolarizzazione indipendentemente dalla frequenza cardiaca e aumentando la durata del potenziale d’azione.
    La procainamide endovenosa è utilizzata nella tachicardia ventricolare monomorfa con buona tolleranza emodinamica. È il farmaco di prima scelta nella fibrillazione atriale pre-eccitata (sindrome di Wolff-Parkinson-White).
    Effetti collaterali:
    • allungamento dell’intervallo QT e rischio di torsione di punta;
    • blocco AV e rischio di asistolia;
    • effetti specifici della chinidina: aumento della tossicità della digossina, ipotensione ortostatica, trombocitopenia, cinconismo (cefalea, vertigini, tinnito);
    • la procainamide può causare una sindrome lupus-simile, con positività degli anticorpi ANA e anti-istone nel 95% dei casi.
  • Classe I B (Lidocaina, fenitoina, mexiletina, aprindina, tocainide). Agiscono accorciando il periodo di ripolarizzazione e allungando il periodo refrattario effettivo, mantenendo la velocità massima normale.
    La lidocaina endovenosa è utilizzata nelle tachicardie ventricolari in corso di infarto miocardico acuto (IMA) e nelle aritmie da intossicazione digitalica.
    Effetti collaterali: Blocco della conduzione AV, pausa sinusale ed effetti sul sistema nervoso centrale.
  • Classe I C (Propafenone, flecainide, encainide). Riducono la velocità massima di depolarizzazione, con potenziale d’azione normale e allungando il periodo refrattario effettivo.
    Vengono impiegati nella fibrillazione atriale, sia per la cardioversione che per la prevenzione di nuovi episodi (strategia di controllo del ritmo), in assenza di cardiopatia strutturale.
    Sono utili nella prevenzione delle aritmie nei pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White, poiché bloccano la conduzione attraverso la via accessoria.
    Effetti collaterali: nausea, vomito, peggioramento dell’aritmia ventricolare, prolungamento dell’intervallo PR e del QRS, insufficienza cardiaca. Sono controindicati in caso di cardiopatia strutturale.

Classe II

Fanno parte di questa classe i beta-bloccanti, di cui abbiamo già parlato nella sezione specifica. Essi agiscono riducendo l’automatismo, diminuendo la velocità di conduzione, allungando il periodo refrattario del nodo AV (blocco AV) e riducendo il potenziale d’azione.

Classe III

I farmaci di classe III prolungano il potenziale d’azione nei tessuti con potenziale d’azione rapido. Appartengono a questa classe l’amiodarone, sotalolo, dronedarone e ibutilide.

  • Amiodarone: agisce su diversi canali ionici, rendendolo utile in varie aritmie.
    È il farmaco di prima scelta nei pazienti con cardiopatia strutturale e nella cardiomiopatia ipertrofica.
    Effetti collaterali:
    • fibrosi polmonare;
    • alterazioni della funzione tiroidea (ipo o ipertiroidismo);
    • colorazione grigio-blu della cute;
    • epatotossicità;
    • microdepositi corneali;
    • ritardo della crescita.
  • Sotalolo: beta-bloccante con effetto antiaritmico di classe III.
    E’ indicato nella prevenzione degli episodi di fibrillazione atriale (FA) in pazienti con cardiopatia ischemica.
    Tra gli effetti collaterali vi sono il prolungamento dell’intervallo QT e rischio di torsione di punta.
  • Dronedarone: simile all’amiodarone, ma senza iodio. Controindicato nello scompenso cardiaco, poiché aumenta la mortalità.
  • Ibutilide: agisce bloccando i canali del potassio e attivando le correnti lente per il sodio. Indicato nella cardioversione farmacologica di fibrillazione atriale e flutter atriale.
    Anch’esso può dare rischio di torsione di punta per allungamento del QT.

Classe IV

Fanno parte di questa classi i Calcio-antagonisti (verapamil, diltiazem). Diminuiscono la velocità di conduzione e allungano il periodo refrattario (blocco nodo AV).

Vernakalant

È un farmaco antiaritmico di recente approvazione. Blocca i canali del sodio (Na⁺) e del potassio (K⁺), aumentando il periodo refrattario atriale.

E’ indicato per la cardioversione farmacologica rapida della fibrillazione atriale in pazienti senza cardiopatia strutturale o con cardiopatia minima.

E’ controindicato in caso di stenosi aortica severa, insufficienza cardiaca classe III-IV NYHA, ipotensione, QT lungo, sindrome coronarica acuta recente.

Digitalici

I digitalici includono la digossina, la digitossina e il lanatoside C.

La digossina agisce bloccando la pompa Na+/K+ ATPasi presente nel sarcolemma delle cellule cardiache. Questo blocco determina un aumento della concentrazione intracellulare di sodio (Na+), che a sua volta favorisce lo scambio con il calcio (Ca++). L’aumento del calcio intracellulare è responsabile dell’effetto inotropo positivo, ovvero un miglioramento della contrattilità cardiaca. Questo effetto è particolarmente evidente in pazienti con disfunzione ventricolare, dove la digossina aumenta significativamente la gittata cardiaca.

Tuttavia, in un cuore sano, la digossina non migliora in modo significativo la gittata cardiaca, ma può aumentare le resistenze periferiche e il consumo di ossigeno del miocardio. Inoltre, esercita un effetto cronotropo negativo, riducendo la frequenza cardiaca, e diminuisce la conduzione atrio-ventricolare attraverso la stimolazione del sistema nervoso parasimpatico.

La digossina viene assorbita per via orale e si distribuisce in tutto l’organismo. Il suo legame alle cellule miocardiche è influenzato da condizioni come l’ipokaliemia, che ne aumenta l’effetto. La digossina viene eliminata principalmente per via renale, con un’emivita di circa 36 ore. Il suo range terapeutico è ristretto (0,5-2 ng/ml), rendendo necessaria un’attento monitoraggio per evitare tossicità.

La principale indicazione della digossina è il controllo della risposta ventricolare in pazienti con fibrillazione atriale e scompenso cardiaco associato a disfunzione contrattile. Tuttavia, nei pazienti in ritmo sinusale, la digossina non migliora la sopravvivenza e non è quindi raccomandata.

Controindicazioni:

  • sindrome di WPW: la digossina può aumentare la conduzione attraverso la via accessoria, portando in alcuni casi a fibrillazione ventricolare;
  • cardiomiopatia ipertrofica, blocchi atrio-ventricolari e malattia del nodo del seno.

L’intossicazione da digitalici si verifica in circa il 20% dei pazienti con livelli di digossinemia superiori a 2 ng/ml. I fattori che possono precipitare la tossicità includono:

  • ipokaliemia (il più importante);
  • ipossia;
  • ipercalcemia;
  • ipomagnesiemia;
  • ipotiroidismo;
  • ischemia miocardica;
  • insuffienza renale;
  • interazioni farmacologiche (es. chinidina, amiodarone, verapamil, spironolattone, eritromicina, propafenone).

I sintomi precoci di intossicazione includono inappetenza, nausea e vomito. A livello elettrocardiografico, si possono osservare:

  • prolungamento dell’intervallo PR;
  • accorciamento dell’intervallo QT;
  • riduzione o inversione dell’onda T;
  • presenza di un’onda U prominente.
Fibrillazione atriale di nuovo riscontro, con ritmo giunzionale accelerato: elettrocardiogramma tipico dell’intossicazione digitalica. Osservare il sottoslivellamento “a cucchiaio” del tratto ST.

Le aritmie più comuni causate dalla digossina includono extrasistoli ventricolari, tachicardia atriale parossistica con blocco AV variabile, bigeminismo, ritmo giunzionale accelerato e, nei casi più gravi, fibrillazione ventricolare.

L’intossicazione cronica può manifestarsi con cachessia, ginecomastia, visione gialla e stati confusionali. Un segno elettrocardiografico caratteristico del trattamento cronico è il sottoslivellamento concavo del tratto ST, con una morfologia tipica ““”a cucchiaio”, noto anche come “Baffo di Dalì”.

L’intossicazione digitalica viene trattata sospendendo il farmaco, correggendo l’ipokaliemia, utilizzando atropina in caso di bradiaritmie e blocchi AV, lidocaina o fenitoina per le aritmie ventricolari. Nei casi gravi, può essere utilizzato il frammento Fab dell’anticorpo specifico della digossina.
La dialisi non è efficace nell’eliminare la digossina e non è quindi indicata in caso di intossicazione.

Inotropi

I farmaci inotropi sono utilizzati per migliorare la contrattilità cardiaca e sono spesso impiegati in situazioni critiche come lo scompenso cardiaco acuto, lo shock cardiogeno e altre condizioni di instabilità emodinamica. I principali farmaci inotropi sono la dopamina, adrenalina, dobutamina, milrinone, levosimendan e noradrenalina

Dopamina

La dopamina è un farmaco con effetti dose-dipendenti, che agisce su diversi recettori:

  • dosi basse (2-5 μg/kg/min): agisce come agonista dei recettori dopaminergici (D1), producendo vasodilatazione renale. È utile anche nello shock cardiogeno;
  • dosi intermedie (5-10 μg/kg/min): mantiene l’effetto vasodilatatore renale e aggiunge un effetto inotropo positivo attraverso la stimolazione dei recettori beta-1, aumentando la gittata cardiaca;
  • dosi elevate (20 μg/kg/min): stimola i recettori alfa-1, causando vasocostrizione e aumentando la pressione arteriosa.

La dopamina è anche un precursore della noradrenalina, grazie all’enzima dopamina beta-idrossilasi. Un deficit di questo enzima porta a una grave ipotensione ortostatica, ipotermia, ipotonia muscolare e ipoglicemia, con sintomi che spesso compaiono già nel periodo perinatale.

Adrenalina

L’adrenalina è una catecolamina con effetti sia beta che alfa:

  • effetti cardiaci: agisce come agonista beta-1, aumentando la contrattilità cardiaca (effetto inotropo positivo) e la frequenza cardiaca (effetto cronotropo positivo);
  • effetti periferici: provoca vasocostrizione nei territori con recettori alfa (aumentando la pressione arteriosa) e vasodilatazione nei territori con recettori beta-2 (come il muscolo scheletrico e la regione addominale).

L’adrenalina è indicata nello shock anafilattico e nell’arresto cardiaco.

Dobutamina

La dobutamina è un agonista beta-1 con un marcato effetto inotropo positivo e un lieve effetto cronotropo positivo. Grazie alla sua azione sui recettori beta-2, riduce le resistenze periferiche, diminuendo il post-carico e migliorando la gittata cardiaca. È particolarmente utile nei pazienti con scompenso cardiaco acuto.

Milrinone

Il milrinone è un inibitore della fosfodiesterasi 3 (PDE3i), che aumenta i livelli intracellulari di AMP ciclico (AMPc), migliorando la contrattilità cardiaca e producendo vasodilatazione periferica e polmonare. A differenza dei beta-agonisti, il milrinone mantiene la sua efficacia anche in pazienti in terapia con beta-bloccanti. È approvato per il trattamento a breve termine dello scompenso cardiaco refrattario.

Levosimendan

Il levosimendan agisce attraverso due meccanismi principali:

  1. sensibilizzazione al calcio: aumenta l’affinità delle proteine contrattili per il calcio, migliorando la contrattilità cardiaca (effetto inotropo positivo);
  2. apertura dei canali del potassio ATP-dipendenti: produce vasodilatazione periferica, riducendo il post-carico.

Ha anche un lieve effetto di inibizione della fosfodiesterasi 3 (PDE3i). Il levosimendan è indicato nel trattamento dello scompenso cardiaco acuto, ma può causare ipotensione arteriosa come effetto collaterale. La somministrazione avviene per via endovenosa e richiede ospedalizzazione.

Noradrenalina

La noradrenalina è una catecolamina con una forte affinità per i recettori alfa, producendo un potente effetto vasocostrittore. È il farmaco di prima scelta nello shock settico e in altre forme di shock, poiché induce meno aritmie rispetto alla dopamina. Aumenta la pressione arteriosa migliorando la perfusione degli organi vitali.

Altri

Alfa-bloccanti

Gli alfa-bloccanti agiscono sui recettori alfa-adrenergici, causando vasodilatazione e riduzione della pressione arteriosa. Si dividono in due categorie principali: i bloccanti non selettivi (alfa-1 e alfa-2) e i bloccanti selettivi (alfa-1).

I bloccanti non selettivi, come la fentolamina e la fenossibenzamina, bloccano sia i recettori alfa-1 che alfa-2, riducendo la vasocostrizione mediata dal sistema simpatico. Sono utilizzati principalmente nelle crisi ipertensive associate a feocromocitoma o in condizioni di iperstimolazione simpatica. Tra gli effetti collaterali più comuni vi sono l’ipotensione e la tachicardia riflessa.

I bloccanti selettivi alfa-1, come la prazosina, la doxazosina e la terazosina, agiscono selettivamente sui recettori alfa-1, causando vasodilatazione periferica. Questi farmaci sono particolarmente utili nei pazienti con ipertensione arteriosa associata a iperplasia prostatica benigna o iperlipidemia, poiché migliorano il flusso urinario e il profilo lipidico. Tuttavia, possono causare effetti collaterali come ipotensione posturale, tachicardia, vertigini e disturbi digestivi.

Vasodilatatori diretti

I vasodilatatori diretti agiscono rilassando la muscolatura liscia delle arterie, riducendo così la resistenza vascolare periferica. Tra questi, il minoxidil è utilizzato nell’ipertensione arteriosa grave, ma può causare effetti collaterali come irsutismo e ritenzione idrica.

L’idralazina agisce direttamente sul muscolo liscio arterioso, causando vasodilatazione. È particolarmente utile nell’ipertensione in gravidanza e nelle emergenze ipertensive. Tuttavia, può causare una sindrome lupus-simile e tachicardia riflessa. È controindicata in caso di dissezione aortica.

Il diazossido, un tempo utilizzato nelle crisi ipertensive, oggi è meno comune a causa dei suoi effetti collaterali, come l’iperglicemia e la ritenzione di sodio. Anche questo farmaco è controindicato in caso di dissezione aortica.

Farmaci Simpaticolitici ad azione centrale

I farmaci simpaticolitici ad azione centrale agiscono riducendo l’attività simpatica a livello del sistema nervoso centrale, abbassando così la pressione arteriosa. La clonidina, un agonista alfa-2, è utilizzata nel trattamento dell’ipertensione arteriosa. Tuttavia, può causare ipertensione paradossa alla sospensione e bradicardia riflessa.

L’alfametildopa, anch’essa un agonista alfa-2, è il farmaco di scelta per l’ipertensione in gravidanza. Tuttavia, può causare effetti collaterali come epatite tossica e anemia emolitica autoimmune.

Bloccanti gangliari

I bloccanti gangliari, come il trimetafano, agiscono a livello dei gangli autonomi, bloccando la trasmissione simpatica e parasimpatica. Sono utilizzati nelle crisi ipertensive, specialmente in caso di dissezione aortica. Tra gli effetti collaterali più comuni vi sono l’ipotensione, la ritenzione urinaria e la secchezza delle fauci.

L’ivabradina è un farmaco che inibisce selettivamente i canali del sodio (If) nel nodo sinusale, riducendo la frequenza cardiaca senza influenzare la contrattilità. È utilizzata nell’angina stabile e nello scompenso cardiaco cronico (FE <35%, FC >70 bpm). Tra gli effetti collaterali più comuni vi sono la bradicardia e le alterazioni della vista.

Farmaci anti-ischemici

La ranolazina è un farmaco anti-ischemico che inibisce la corrente tardiva del sodio, riducendo lo stress diastolico e migliorando la perfusione coronarica. È utilizzata nell’angina stabile e non modifica la pressione arteriosa o la frequenza cardiaca. Tra gli effetti collaterali più comuni vi sono vertigini, nausea e costipazione.

Fonte: Manuale di cardiologia, chirurgia vascolare e cardiochirurgia. Concorso Nazionale SSM.

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Di Raffo Coco

Ciao a tutti, mi chiamo Raffaele Cocomazzi e sono il cofondatore di BMScience. Sono appassionato di Scienza, Medicina, Chimica e Tecnologia. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Foggia e attualmente MFS in Medicina Nucleare presso l'Alma Mater Studiorum (Università di Bologna). Se ti piacciono i miei contenuti supportaci con una donazione Paypal.