
Durante un intervento chirurgico o una procedura interventistica, il monitoraggio intraoperatorio è essenziale per valutare in tempo reale i parametri fisiologici del paziente. Sotto la responsabilità dell’anestesista, questo monitoraggio permette di identificare e correggere tempestivamente eventuali alterazioni fisiopatologiche, garantendo la sicurezza del paziente sottoposto ad anestesia generale, locoregionale o sedoanalgesia.
La scelta tra monitoraggio di base o avanzato dipende dal tipo di chirurgia e dalle condizioni del paziente. Le linee guida italiane, in accordo con gli standard americani (ASA), definiscono i parametri obbligatori per tutte le procedure anestesiologiche.
Tra i parametri di monitoraggio standard rientrano:
- Funzione respiratoria e ventilazione
Il controllo della respirazione e dell’ossigenazione è uno degli aspetti più critici. Vengono monitorati la saturazione dell’ossigeno (SpO₂), la concentrazione di ossigeno inspirato (FiO₂) e l’anidride carbonica espirata (EtCO₂), che fornisce informazioni sull’adeguatezza della ventilazione. Inoltre, nei pazienti intubati, si valutano i volumi polmonari per assicurare un corretto scambio gassoso. - Funzione cardiocircolatoria
L’attività cardiaca viene monitorata attraverso un elettrocardiogramma (ECG) continuo, che permette di rilevare aritmie, ischemia o altre anomalie. La pressione arteriosa viene misurata almeno ogni cinque minuti, a meno che non sia disponibile un monitoraggio invasivo più preciso. - Temperatura corporea
Particolare attenzione viene posta alla temperatura, soprattutto negli interventi più lunghi. Un’ipotermia accidentale può aumentare il rischio di complicanze, per cui è necessario rilevarla regolarmente, almeno ogni mezz’ora nelle procedure che superano i 30 minuti.
Oltre ai parametri standard, in alcuni casi possono essere necessarie valutazioni più approfondite. Ad esempio, nei pazienti che ricevono farmaci bloccanti neuromuscolari, il Train of Four (TOF) permette di verificare il grado di paralisi residua.
Un altro strumento utile è l’EEG processato (pEEG), che aiuta a valutare la profondità dell’anestesia e a prevenire uno stato di consapevolezza intraoperatoria. Questi strumenti sono particolarmente importanti in chirurgie ad alto rischio o in pazienti con condizioni cliniche complesse.
Monitoraggio cardiocircolatorio
Elettrocardiogramma (ECG)
L’ECG fornisce informazioni preziose su frequenza, ritmo e possibili segni di ischemia miocardica. La derivazione II è quella più comunemente utilizzata, ma in caso di sospetta ischemia è opportuno estendere l’analisi a tutte e 12 le derivazioni per una valutazione completa.
Pressione arteriosa non invasiva (NIBP)
La misurazione avviene tramite uno sfigmomanometro posizionato sul braccio, con controlli regolari ogni cinque minuti. È importante scegliere un bracciale di dimensioni adeguate (circa il 40% della circonferenza del braccio) per evitare errori di misurazione. Non bisogna posizionare il manicotto in prossimità di un nervo superficiale, per evitare lesioni nervose.
Se il braccio non è accessibile, si può optare per la coscia o la gamba.
Pressione arteriosa invasiva
Nei casi in cui è richiesta una maggiore precisione o un monitoraggio continuo, si utilizza un catetere arterioso, solitamente inserito a livello radiale. Prima della procedura, è fondamentale eseguire il test di Allen per verificare la circolazione collaterale.
Le principali indicazioni per questo approccio includono la necessità di ripetuti prelievi ematici, il monitoraggio emodinamico avanzato o interventi con elevato rischio emorragico. Le complicanze, sebbene rare, possono includere trombosi, infezioni o lesioni nervose, per cui è essenziale una tecnica sterile e accurata.
Pressione venosa centrale (PVC)
L’inserimento di un catetere venoso centrale (CVC) permette di monitorare la pressione nell’atrio destro, utile per valutare il precarico cardiaco. Tuttavia, la PVC è influenzata da molteplici fattori, tra cui la compliance cardiaca e la pressione intratoracica, e richiede un’interpretazione critica per essere clinicamente utile.
Monitoraggio della funzione respiratoria
Il monitoraggio della funzione respiratoria rappresenta un aspetto fondamentale nella pratica anestesiologica, garantendo la sicurezza del paziente durante l’intero procedimento. Questo complesso sistema di controllo si articola su diversi livelli, ognuno dei quali fornisce informazioni preziose sullo stato ossigenativo e ventilatorio del paziente.
Durante la somministrazione dell’anestesia, una particolare attenzione deve essere rivolta alla concentrazione di ossigeno presente nel circuito. Questo controllo continuo previene il rischio di somministrare miscele gassose ipossiche, potenzialmente pericolose per il paziente. Tuttavia, è importante sottolineare che questa misurazione, da sola, non è sufficiente a garantire un’adeguata ossigenazione tissutale, che richiede necessariamente l’integrazione con la pulsossimetria, come previsto dagli standard ASA.
La capnografia
Il monitoraggio dell’anidride carbonica espirata ha assunto negli anni un’importanza sempre maggiore nella pratica clinica. Questa tecnica, che valuta la concentrazione di CO2 a livello del tubo endotracheale, fornisce informazioni preziose non solo sull’efficacia della ventilazione, ma anche sul metabolismo del paziente.
L’interpretazione del capnogramma, la rappresentazione grafica delle variazioni di CO2 durante il ciclo respiratorio, permette di identificare quattro distinte fasi:

- fase A-B: transizione tra inspirazione ed espirazione. L’aria inizialmente espirata non contiene CO₂, poiché proviene dalle vie aeree superiori (spazio morto anatomico).
- fase B-C: emissione progressiva di CO₂ dalle vie aeree inferiori;
- fase C-D (Plateau alveolare): rappresenta la concentrazione massima di CO₂ alveolare, con il punto D (EtCO₂) che indica il picco espiratorio;
- fase D-E: caduta a zero durante l’inspirazione, quando gas freschi diluiscono la CO₂ residua.
Dal punto di vista clinico, la capnografia offre numerosi vantaggi. Oltre a confermare il corretto posizionamento del tubo endotracheale, permette di valutare l’adeguatezza della ventilazione e di identificare precocemente situazioni critiche come ipoventilazione o alterazioni metaboliche.
Pulsossimetria
La valutazione continua della saturazione di ossigeno rappresenta una componente irrinunciabile della pratica anestesiologica. La pulsossimetria, tecnica non invasiva basata sul principio di assorbimento luminoso, permette di monitorare in tempo reale l’ossigenazione del sangue.
Il funzionamento di questo dispositivo si basa sull’emissione di luce a due diverse lunghezze d’onda (rossa ed infrarossa), sfruttando le diverse proprietà di assorbimento dell’emoglobina ossigenata e di quella desossigenata. L’emoglobina ossigenata assorbe più luce infrarossa che rossa, l’emoglobina desossigenata assorbe più luce rossa che infrarossa.
I moderni pulsossimetri offrono il vantaggio di una calibrazione automatica e continua, con tempi di risposta estremamente rapidi alle variazioni dello stato ossigenativo.
Tuttavia, è importante considerare i numerosi fattori che possono influenzare l’affidabilità della misurazione. Tra questi troviamo condizioni locali come l’uso di smalto per unghie o l’ipotermia periferica, ma anche situazioni sistemiche come anemia grave o ipotensione, emoglobine patologiche. Inoltre, l’ambiente chirurgico stesso, con l’utilizzo di elettrobisturi o la presenza di intense vibrazioni, può generare artefatti nella misurazione.
Monitoraggio della temperatura corporea
Il controllo della temperatura durante l’intervento chirurgico rappresenta un aspetto cruciale del monitoraggio anestesiologico. Le variazioni termiche possono infatti influenzare significativamente l’esito dell’intervento e il recupero postoperatorio del paziente.
La misurazione può essere effettuata attraverso diverse metodiche. L’approccio invasivo prevede l’utilizzo di una sonda esofagea, mentre le tecniche non invasive includono la misurazione timpanica o l’applicazione di speciali sensori cutanei posizionati sulla fronte. Quest’ultima opzione risulta particolarmente pratica in molte situazioni cliniche.
Secondo gli standard ASA, il monitoraggio continuo della temperatura è particolarmente indicato quando si prevedono significative fluttuazioni termiche. È importante considerare che l’ambiente della sala operatoria, con la sua temperatura controllata, l’esposizione chirurgica dei tessuti e gli effetti stessi dell’anestesia, compromettono i normali meccanismi di termoregolazione dell’organismo, aumentando il rischio di ipotermia perioperatoria.
Valutazione della funzione neuromuscolare
Nei pazienti che ricevono farmaci bloccanti neuromuscolari, il monitoraggio della funzione neuromuscolare diventa una procedura essenziale. Questa valutazione si avvale tipicamente di uno stimolatore nervoso periferico, comunemente posizionato a livello del nervo ulnare.
Questo strumento permette all’anestesista di determinare con precisione il grado di blocco neuromuscolare e di monitorarne il recupero durante la fase di risveglio. Una valutazione accurata è fondamentale per garantire che al momento dell’estubazione non permangano residui di curarizzazione, prevenendo così potenziali complicanze respiratorie.
Monitoraggio della funzione cerebrale
Il controllo dell’attività cerebrale durante l’anestesia ha acquisito crescente importanza negli ultimi anni, specialmente in contesti come l’anestesia totale endovenosa (TIVA) o in interventi chirurgici particolarmente complessi.
Le moderne tecniche di monitoraggio cerebrale si basano sull’analisi spettrale dell’elettroencefalogramma (EEG) attraverso elettrodi posizionati sulla fronte. Sistemi come il BIS, l’Entropia o il Masimo Sedline sono in grado di distinguere diversi stati di coscienza analizzando le caratteristiche frequenze delle onde cerebrali.
Questi dispositivi identificano specifici pattern elettroencefalografici, differenziando lo stato di veglia (caratterizzato da attività beta-gamma) dagli stati di sonno o anestesia (con predominanza di onde slow-delta e alpha). Inoltre, possono riconoscere situazioni di anestesia troppo profonda, come il pattern di burst suppression, dove l’attività cerebrale risulta estremamente ridotta.
Le evidenze scientifiche più recenti dimostrano come un appropriato monitoraggio cerebrale possa significativamente ridurre il rischio di awareness (risveglio intraoperatorio) e di delirium postoperatorio, migliorando così la sicurezza e la qualità dell’assistenza anestesiologica. Questa area di monitoraggio continua a evolversi rapidamente, con nuove tecnologie e protocolli che promettono ulteriori miglioramenti nella pratica clinica.
Fonte: Manuale di anestesia e rianimazione. Concorso Nazionale SSM.