La terapia del diabete tipo 2 utilizza numerosi farmaci che agiscono su diversi aspetti della fisiopatologia di questa malattia.
Nella seguente tabella sono elencati classi di farmaci ipoglicemizzanti orali in commercio e loro principali azioni.

Farmaci🠕 Produzione di insulina 🠕 Sensibilità all’insulina🠕 Produzione epatica di glucosioRitardato assorbimento CHO
Biguanidi++++
Sulfoniluree/meglitinidi+++
Incretine++++
Tiazolidinedioni++++
Inibitore α-glucosidasi+++

Modulazione farmacologica della funzionalità delle cellule β

Alcuni farmaci stimolano la secrezione insulinica modulando l’attività dei canali del potassio ATP-dipendenti.

Tra i farmaci stimolanti il rilascio di insulina ricordiamo anzitutto le sulfoniluree, che rappresentano da oltre quarant’anni un presidio nella terapia del diabete tipo 2. Esistono varie molecole appartenenti a questa classe ma le differenze riguardano soprattutto la farmacocinetica. Recentemente, sono state introdotte altre sostanze che stimolano la secrezione insulinica, come la repaglinide (derivato della meglitinide) e la nateglinide (derivato della fenilalanina), entrambe chimicamente distinte dalle sulfoniluree, sebbene abbiano un meccanismo d’azione sovrapponibile. Tutti i farmaci con azione secretagoga β-cellulare oggi disponibili agiscono comunque legandosi al medesimo recettore sulla membrana della β-cellula, denominato recettore per le sulfoniluree (SUR1/ABCC8). Questa struttura corrisponde a una subunità dei canali del potassio ATP-sensibili, che lega ATP e ADP. Sulfoniluree e glinidi mimano l’aumento del rapporto ATP/ADP indotto dagli stimoli metabolici, sebbene i siti di legame sul recettore SUR1 per sulfoniluree e glinidi siano distinti e ci siano differenze nelle modalità di interazione con il recettore di questi farmaci.

La nateglinide ha un legame molto fugace con SUR1. Le sulfoniluree esplicano anche altri effetti, documentati in vitro ma di importanza non ben definita in vivo, come il potenziamento del trasporto del glucosio GLUT4-dipendente a livello muscolare, mediato da un aumento di attività della PI3K-IRS-1 dipendente. Mutazioni con perdita di funzione di SUR1 e di KIR6.2 (altra subunità di questi canali del potassio) possono provocare ipersecrezione di insulina, manifestandosi con sindromi ipoglicemiche familiari. Al contrario, mutazioni con guadagno di funzione di queste subunità provocano diabete neonatale.

Le sulfoniluree possono legarsi al recettore SUR2 a livello cardiaco, potenzialmente inducendo effetti indesiderati, come aritmie e ridotta capacità di adattamento all’ischemia. L’entità di questo legame varia con il tipo di molecola e con le concentrazioni circolanti del farmaco. La nateglinide ha una scarsa affinità per SUR2.

È noto da molti anni che la secrezione insulinica può essere inibita dal diazossido, utilizzato nella terapia delle sindromi ipoglicemiche sostenute da ipersecrezione β-cellulare. Questa sostanza agisce sui recettori SUR1, attivando i canali del potassio ATP-dipendenti e portando a iperpolarizzazione della β-cellula, con conseguente inibizione della secrezione insulinica.

Sistema delle incretine

Il sistema delle incretine ha dato origine a nuove classi di farmaci che stimolano la secrezione insulinica.

L’introduzione di cibo determina il rilascio di numerosi ormoni gastrointestinali che regolano molteplici funzioni, tra cui la secrezione di ormoni pancreatici. La possibilità che sostanze prodotte dalla mucosa duodenale potessero essere usate nella cura del diabete era stata postulata già diversi anni fa, sulla base dell’attività biologica di questi ormoni.

Sono state sviluppate due principali strategie di approccio farmacologico al sistema delle incretine:

  1. analoghi naturali o sintetici del GLP-1: questi analoghi sono caratterizzati da un’emivita più lunga rispetto all’ormone naturale e vengono somministrati per via sottocutanea;
  2. inibitori dell’enzima DPP-IV: questi inibitori, somministrabili per via orale, aumentano l’emivita delle incretine endogene riducendone la degradazione.

Tra gli aspetti più interessanti di questo approccio al trattamento del diabete tipo 2 ci sono il carattere glucosio-dipendente dello stimolo sulla secrezione insulinica, che elimina il rischio di ipoglicemie, l’inibizione della secrezione di glucagone, il potenziale effetto antiapoptotico sulle β-cellule e la riduzione del peso, quest’ultimo limitatamente all’uso degli agonisti del GLP-1.

AzioneAgonista GLP-1Inibitore DPP-IV
Via di somministrazioneSottocuteOrale
Secrezione di insulinaAumentata 🠕🠕Aumentata 🠕🠕
Secrezione di glucagoneSoppressa 🠗🠗Soppressa 🠗
Iperglicemia post-prandialeRidotta 🠗🠗Ridotta 🠗
Svuotamento gastricoMolto rallentatoNessun effetto
AppetitoSoppressoNessun effetto
Senso di sazietàIndottoNessun effetto
Peso corporeoRidottoNeutrale
Funzione β-cellulaPreservata, rapporto proinsulina/insulina miglioratoPreservata, rapporto proinsulina/insulina migliorato
Effetti avversi gastrointestinaliFrequentiRari

Modulazione del signalling insulinico

Numerose sostanze modulano il signalling del recettore insulinico, potenziandolo o inibendolo. Gli effetti agonisti sono di particolare interesse terapeutico data la rilevanza che possono avere nella correzione dell’insulino-resistenza.

Biguanidi

I farmaci della classe delle biguanidi, come la fenformina (oggi quasi abbandonata per il rischio di acidosi lattica) e la metformina, sono in grado di potenziare l’azione dell’insulina. Questo effetto si associa a una riduzione adattativa dei livelli di insulina, rendendoli insulinosensibilizzanti. Questi farmaci sono stati impiegati per molti anni in Europa nella terapia del diabete tipo 2.

Le evidenze di effetti favorevoli della metformina su molti fattori di rischio cardiovascolare hanno portato a considerarla come il primo strumento da utilizzare nella terapia farmacologica del diabete tipo 2. Il meccanismo molecolare d’azione delle biguanidi è stato recentemente collegato alla stimolazione dell’AMPK, un’importante proteina chinasi che viene attivata in risposta a un aumento del rapporto AMP/ATP. Questo aumento segnala un depauperamento dello stato energetico cellulare, che può essere la conseguenza di una ridotta produzione di ATP o di un aumentato consumo di ATP, come nell’esercizio fisico.

L’attivazione della AMPK aumenta l’ossidazione degli acidi grassi, inibisce i processi anabolici e attiva il trasporto del glucosio, con effetti insulino-simili. Queste osservazioni suggeriscono che la AMPK svolga un ruolo primario nella regolazione del metabolismo glucidico e lipidico in funzione dello stato energetico cellulare. L’effetto insulinosensibilizzante della AMPK potrebbe quindi essere almeno in parte indiretto. L’effetto della metformina sulla AMPK sembra indipendente da variazioni del rapporto AMP/ATP e conseguenza di una fosforilazione attivante a livello della treonina-172, un sito regolatorio chiave nella subunità catalitica dell’enzima.

Tiazolidinedioni

Un’altra categoria di farmaci insulinosensibilizzanti è quella dei tiazolidinedioni, agonisti del recettore per il PPAR-γ (Peroxisome Proliferator-Activated Receptor-γ). La stimolazione di questo recettore attiva la trascrizione di geni che regolano la differenziazione degli adipociti e l’adipogenesi e modulano direttamente e indirettamente il metabolismo glucidico e lipidico, regolando anche la secrezione β-cellulare.

Gli effetti dei tiazolidinedioni sulla AMPK riconoscono meccanismi molecolari diversi da quelli della metformina, comportando marcate modificazioni del rapporto AMP/ATP. Gli effetti dei tiazolidinedioni sulla sensibilità insulinica sono attribuiti soprattutto alla riduzione dei livelli circolanti di FFA e alla modulazione della produzione di adiponectina e altre citochine da parte del tessuto adiposo.

I tiazolidinedioni inducono una ridistribuzione del grasso dalle sedi omentali e dai principali organi coinvolti nel metabolismo glucidico (fegato e muscolo) verso gli adipociti periferici, spiegando così gli effetti metabolici favorevoli nonostante la tendenza all’aumento del grasso corporeo. Nell’utilizzo clinico di questi farmaci va considerato l’effetto di ritenzione idrica, che aumenta il rischio di scompenso cardiaco, e il recente aumento del rischio di fratture ossee.

Modulazione dell’assorbimento intestinale del glucosio

La modulazione farmacologica dell’assorbimento intestinale del glucosio è utile a controllare le escursioni glicemiche post-prandiali.

L’acarbosio ha un meccanismo d’azione unico. Si lega con elevata affinità e specificità alle α-glucosidasi, presenti sul bordo a spazzola delle cellule del piccolo intestino. Questi enzimi sono responsabili dell’idrolisi dei disaccaridi e dei carboidrati più complessi a glucosio e altri monosaccaridi nella parte superiore del piccolo intestino.

Come inibitore competitivo delle α-glucosidasi, l’acarbosio ritarda la digestione dei carboidrati e riduce direttamente la glicemia post-prandiale.

L’acarbosio si è dimostrato un farmaco efficace e sicuro per ritardare lo sviluppo del diabete e per controllare l’iperglicemia nel diabete manifesto, con un particolare effetto sulla glicemia post-prandiale.

Insulinoresistenza e infiammazione cronica: un nuovo possibile target terapeutico

Vi sono varie evidenze di un nesso patogenetico fra flogosi cronica di basso grado e insulinoresistenza, che potrebbe realizzarsi, almeno in parte, attraverso l’azione di citochine ad azione serinchinasica.

In modelli animali di insulinoresistenza, i salicilati attenuano l’iperinsulinemia e le alterazioni metaboliche associate, con una parallela riduzione della fosforilazione in serina e un aumento di quella in tirosina degli IRSs. Questa azione ha delle potenziali applicazioni nella terapia del diabete tipo 2.

La prima segnalazione a favore di un potenziale impiego di antinfiammatori nella cura del diabete risale a circa un secolo fa, quando si osservò che l’uso di alte dosi di salicilato di sodio in pazienti affetti da diabete tipo 2 riduceva la glicosuria. Questa vecchia osservazione ha trovato nuove conferme in uno studio pubblicato, il TINSAL-T2D (Targeting Inflammation Using Salsalate in Type 2 Diabetes), che fornisce evidenze chiare a favore dell’efficacia degli antinfiammatori non steroidei (NSAIDs) nel trattamento dell’iperglicemia del diabete tipo 2.

Il salsalato è un profarmaco del salicilato, a lungo utilizzato nel trattamento del dolore reumatico, che ha dimostrato un buon profilo di sicurezza. I salicilati non acetilati, come il salsalato, non inibiscono le piastrine e sono insolubili nell’ambiente acido gastrico, riducendo il rischio di emorragie e/o effetti gastrici avversi.

L’uso del salsalato in questo studio randomizzato controllato ha prodotto una riduzione dei livelli di emoglobina glicata superiore allo 0,5%, paragonabile al risultato ottenibile con alcuni farmaci approvati per la terapia del diabete tipo 2, documentando anche un buon profilo di sicurezza. Inoltre, altri fattori di rischio cardiovascolare hanno mostrato variazioni favorevoli con l’uso del salsalato:

  • riduzione dei trigliceridi;
  • aumento dell’adiponectina, un’adipochina con attività antidiabetica e antiaterogena.

Il salsalato, diversamente da altri NSAIDs, inibisce il fattore nucleare KB (NFKB) e non le cicloossigenasi. Questo fattore nucleare svolge un ruolo chiave nella trascrizione di numerose molecole implicate nell’infiammazione: TNF-α, IL-6, IL-1β, resistina e C-C motivo chemochina 2, e promuove il reclutamento dei macrofagi nel tessuto adiposo.

Sebbene sia ancora aperto il dibattito se l’infiammazione sia causa o conseguenza dell’insulino-resistenza, lo studio TINSAL-T2D suggerisce che trattare l’infiammazione può rappresentare una strategia aggiuntiva nella cura delle malattie metaboliche.

Fonte: Farmacologia generale e molecolare.

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Di Raffo Coco

Ciao a tutti, mi chiamo Raffaele Cocomazzi e sono il cofondatore di BMScience. Sono appassionato di Scienza, Medicina, Chimica e Tecnologia. Laureato in Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Foggia e attualmente MFS in Medicina Nucleare presso l'Alma Mater Studiorum (Università di Bologna). Se ti piacciono i miei contenuti supportaci con una donazione Paypal.